Recensione: Kalmanto

Di Daniele Balestrieri - 26 Novembre 2007 - 0:00
Kalmanto
Band: Ajattara
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
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82

Non passa anno che si rispetti senza che tornino a bussare alla porta gli Ajattara, e questo 2007 non fa eccezione. Ogni dicembre Santa Klaus deposita il loro tradizionale singolo di natale e quest’anno, oltre al suddetto singolo che presto uscirà nei negozi (e di conseguenza su Truemetal), ci porta anche il nuovo full length, Kalmanto.
Quando si parla di Ajattara in realtà c’è sempre ben poco da introdurre. La band rimane saldamente ancorata al proprio credo musicale come se da Itse non fosse passato un giorno, eppure quest’anno c’è una novità in più: pare infatti che qualche mese fa la band sia “esplosa” durante un concerto a causa di un’uscita abbastanza infelice del mastermind Pasi “Ruoja” Koskinen, e abbiamo rischiato a tutti gli effetti di non vederli più fino al tramonto dell’umanità. Tuttavia la band si è riformata, e più forte che mai ritorna a terrorizzare con il suo dark horror metal grind-sinfonico.

All’uscita di Äpäre ci eravamo lasciati dicendo che la band aveva evoluto leggermente il proprio stile. Anche se sembra un’affermazione trascurabile, in realtà è una conquista incredibile per una band come gli Ajattara, per i quali ogni piccolo passo rappresenta un movimento ciclopico che necessita di microscopici aggiustamenti, album dopo album, anno dopo anno. Così se si può dire che mischiando e ridistribuendo casualmente tutti i brani di Itse, Kuolema e Tyhjyys si possono creare un numero infinito di album simili tra loro, lo stesso non si può dire di Äpäre e di quest’ultimo Kalmanto.

Rassicuro innanzitutto tutti quelli che si stanno chiedendo se sono rimasti gli Ajattara di sempre: sì, Kalmanto suona maledettamente come un album degli Ajattara. Tastiere apocalittiche, chitarre dense come roccia fusa e atmosfere palpabili da ultimo giorno dell’umanità. Tuttavia, le canzoni sono sviluppate in maniera meno omogenea e più dichiaratamente caotica, strizzando più di un occhio a uno stile quanto più stridente possibile, tanto da far emergere di tanto in tanto una sensazione quasi di industrial-horrordoom.
E Pasi Koskinen, compianto vocalist degli Amorphis? Lui è cambiato. Al primo ascolto ho persino pensato che avessero cambiato cantante, e tuttora è per me praticamente irriconoscibile: la voce è gretta, disarticolata e stridente come il trapano elettrico che scandisce i tempi dell’ottima opener “Ilkitie”.
Pur essendo abbastanza breve (sfiora i 35 minuti), il disco si “srotola” senza grandi scossoni, e diverse canzoni emergono vittoriose dall’amalgama di sound apocalittici e disperati: basti pensare a “Madot“, impreziosita da una gradita schitarrata classica di ottimo gusto compositivo, oppure alla successiva “…putoan” che dimostra quanto, nonostante il caos imperante, il combo finlandese sia ancora in grado di costruire canzoni sensate e per così dire gradevoli.

Insomma, questo Kalmanto è a mio giudizio un gradino più in alto di Äpäre e rappresenta l’ennesima prova di quanto Mr. Koskinen sia legato a questo genere di atmosfere. Certo non lascerà il segno nella storia della musica, e anzi dubito che sarà eccessivamente apprezzato dai “Kuolemisti”… ma consiglio agli amanti del dark-death mostruoso (in tutti i sensi) di provare l’ascolto. Ha lo stesso effetto di una droga molto pesante, e ha sicuramente meno effetti collaterali.

01. Ikitie
02. Turhuuden takila
03. Madot
04. … Putoan
05. Harhojen virta
06. Suruntuoja
07. Naimalaulu
08. Alttarilla aamutahden
09. Kalmanto

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