Recensione: Kill All Kings

Di Marco Donè - 14 Luglio 2014 - 12:30
Kill All Kings
Band: Channel Zero
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2014
Nazione:
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72

A tre anni dall’ultimo “Feed ‘Em With A Brick” fanno il loro ritorno, con un disco tutto nuovo, i belgi Channel Zero. La band, purtroppo, nel 2013 è stata scossa dalla scomparsa dello storico drummer Phil Baheux, venuto a mancare alla prematura età di 45 anni durante le fasi registrazione del disco in seguito alla rottura di un’arteria. Dopo lo shock iniziale e la momentanea sospensione dei lavori, la band decide di andare avanti. Assoldato Roy Mayorga degli Stone Sour, i Channel Zero concludono le registrazioni del nuovo “Kill All Kings”.

La band, riformatasi nel 2010 dopo lo scioglimento avvenuto nel 1997, ha oramai intrapreso un sentiero ben lontano dalle coordinate thrash degli esordi e del loro seminale ed omonimo debut album. Già negli anni Novanta avevano iniziato questa svolta artistica in particolare con “Black Fuel”. Con “Feed ‘Em With A Brick”, il disco che sancì il loro come back, i Channel Zero avevano ulteriormente messo in evidenza questa voglia di evolvere il proprio sound inserendo delle soluzioni “moderniste”, ottenendo un disco la cui struttura presentava qualche scricchiolio, come se la band avesse in mente quale fosse la direzione da seguire ma avesse qualche difficoltà a rendere concreta tale idea. Il nuovo “Kill All Kings” non può che esser quindi la normale evoluzione di questo percorso e dal punto di vista compositivo la band fa un passo avanti e sembra aver “trovato la quadra”, finalmente a proprio agio in questa nuova dimensione.

Diciamo subito che il disco risulta di difficile inquadramento all’interno di un determinato genere, ci sono, infatti, molte sfaccettature nei vari capitoli che lo compongono. Si apre con “Dark Passenger”, che mette subito in mostra due aspetti fondamentali dell’album: l’ottimo guitar riffing ad opera di Mikey Doling e un ritornello estremamente catchy, facilmente memorizzabile e ben interpretato da Franky De Smet Van Damme. Proprio sullo storico singer dei Channel Zero vanno spese due parole. In “Kill All Kings”, riesce ad interpretare alla perfezione l’atmosfera d’ogni canzone, mostrando una grande versatilità vocale oltre alla capacità di saper tracciare ritornelli sempre azzeccati. Aspetto che fa la differenza nella successiva “Electronic Cocaine”, canzone che rappresenta “la voglia di nuovo” dei Channel Zero. Forse ostica al primo impatto, saprà farsi apprezzare dopo ripetuti ascolti grazie al suo un retrogusto groove e a quel ritornello che sa molto di rock americano in cui Franky De Smet fa la differenza. Le prime due canzoni offrono le direttive di quello che sarà il disco, la scelta di averle messe in apertura non è sicuramente casuale. “Kill All Kings” presenta infatti canzoni dirette in cui il riffing di Doling e le melodie dei ritornelli risultano convincenti e coinvolgenti, come in “Burn The Nation” e “Mind Over Mechanics”, e canzoni più “sperimentali” che presentano varie influenze rilette in chiave moderna ed estremamente personale. “Ego” va proprio in questa direzione, così come “Crimson Collider” che risulta essere uno degli highlights del disco grazie ai suoi cambi d’atmosfera; una strofa con una struttura più moderna ed introspettiva, ed un ritornello melodico ed immediato. Va sicuramente citata la struggente semiballad “Brother’s Keeper” in cui Franky De Smet regala una prestazione da brividi. Trovano spazio anche dei capitoli più thrash oriented come la title track e “Duisternis” in cui, in alcuni frangenti, il singer belga riporta alla mente Araya dando alla canzone un flavour slayeriano.

Il nuovo capitolo della saga Channel Zero risulta quindi un disco che si discosta una volta in più dal thrash, inteso nel suo significato più stretto. E’ un disco in cui ben si mescolano impatto, melodia e soluzioni più moderne, il tutto con un background fortemente groove. I thrasher più oltranzisti possono tranquillamente tenersi a distanza da questo “Kill All Kings”, che risulta più adatto a coloro che si trovano a proprio agio con quei dischi la cui demarcazione risulta difficile e per gli appassionati delle sonorità più moderne. Resta il fatto che si rivela un lavoro capace di assumere fascino ascolto dopo ascolto, un netto passo avanti rispetto al suo predecessore grazie ad una struttura più omogenea e ad un songwriting più convincente. La produzione, affidata nuovamente a Logan Mader, dà il suo contributo grazie ad un suono “grosso”, moderno, che mette in risalto il guitar riffing, rendendolo ancora più coinvolgente.
Un lavoro che non farà gridare al miracolo, ma che saprà farsi apprezzare.

Marco “Into Eternity” Donè

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