Recensione: Killing Time

Di Filippo Benedetto - 2 Aprile 2005 - 0:00
Killing Time
Band: Sweet Savage
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
Nazione:
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80

Gli Sweet Savage nascono sul finire degli anni 70, nel pieno fervore della scena “NWOBHM”. Non ebbe la fortuna e il successo sperati, ma ancora oggi credo meritino il giusto tributo per essere stati una delle più genuine espressioni musicali di quella affascinante avventura che è stata la “New Wave Of British Heavy Metal”.

Una Breve Biografia
 
I membri degli Sweet Savage provengono dall’Irlanda e annoverano in line up il cantante e bassista Ray Haller, il batterista  David Bates, il chitarrista  Trevor Fleming oltre che Vivian Campbell (proprio lui, il più tardi celebre axeman di bands come Def Leppard e Dio). Con questa formazione il combo registra due singoli, uno intitolato “Take No Prisoners” e “Straight through the heart”. Dopo una discreta attività live (che porterà la band ad esibirsi al Rock Friday Show), la band si sciolse. Dopo ben 15 anni, nel 1996, il gruppo si riunì nella originale line up – escluso Campbell che venne rimpiazzato dal diciassettenne ma dotato Simon McBride – per registrare il loro primo vero album intitolato “Killing Time”. Successivamente, nel 1998, il combo registrò un secondo album, “Rune”, che però non soddisfò evidentemente le aspettative dei membri del gruppo che poco tempo dopo si scioglierà nuovamente.

“Killing Time”

Il disco raccoglie materiale composto dalla band nei primissimi anni ottanta, quando era pienamente inserita nel movimento NWOBHM. Il songwriting, quindi, risente molto di quel modo di intendere l’Heavy Metal, anche se una produzione accurata  e ricca di suoni diretti e corposi ne affina l’ascolto. Gli ingredienti buoni per un prodotto piacevole e di buona fattura ci sono tutti: sempre in bilico tra potenti riffs e poderose cavalcate “hard” quest’album può essere considerato il “ruggito heavy metal” degli Sweet Savage”.

Si parte alla grande con la adrenalinica e potente “Killing Time”, cavallo di battaglia del combo nonché indimenticabile mazzata per ogni amante della buona NWOBHM. Gli arrangiamenti di questa song, anche se differenti da quelli originari del 1981, non sacrificano la grande forza d’urto di un muro di riffs coinvolgente e di facile presa sull’ascoltatore. Questa traccia ha un suo motivo di gloria, inoltre, essendo stata due volte oggetto di coverizzazione da parte dei Metallica che, più o meno fedelmente, ne hanno catturato l’energia. Passando a “Vengeance”, notiamo che le ritmiche si fanno più cadenzate (rimanendo comunque sempre molto incisive) costruendo la solida base di un mid tempo di buona fattura. La pesantezza del riffing risalta l’animo più dark e, perché no “teatrale” del combo irlandese. Molto ben costruiti gli intermezzi più “heavy” che alleggeriscono il martellante incedere della song. Con “Welcome to the real world” gli Sweet Savane diversificano la proposta musicale concedendosi il lusso di cavalcare l’onda lunga di un hard’n’heavy cromato e dal riffing accattivante. L’architettura di base del brano sembra proprio rispettarli tutti i cliché del genere, forse non stupendo per originalità, ma garantendo all’ascoltatore tre minuti di piacere. “Thunder” riporta il gruppo ad affrontare tematiche nuovamente oscure e pesanti, impreziosite da un lavoro chitarristico che non risparmia all’ascoltatore i passaggi melodici più “forti” o le “divagazioni” armoniche ricche di drammatico pathos. Pezzo forte del disco è “Eye of the Storm”, brano che in sede live acquista una forza persuasiva incredibile e che in questa versione studio non perde affatto lo smalto del passato. Il poderoso riff di base fa da perfetto anello di congiunzione tra vocals rabbiose e di grande appeal con una sezione ritmica incisiva e puntuale. Il veloce assolo, posto in prossimità delle battute conclusive del brano, dona ulteriore forza d’impatto, mentre i suoni puliti ne affinano il sound complessivo, suoni che comunque non sminuiscono il forte carisma di quello che non esito a definire tra i migliori pezzi  del genere NWOBHM. “Parody of Wisdom” gioca il suo punto di forza in un grande lavoro sulle ritmiche che accentano la linea melodica della track sia nelle sue fasi più veloci che nelle più riflessive parentesi melodiche. L’animo più vicino a sonorità hard rock pompa adrenalina con la successiva “D.U.D” che grazie ad un refrain di facile presa riesce a catturare brillantemente l’attenzione. Lo sviluppo del pezzo non riserva particolari sorprese, ma è proprio questa atmosfera inconfondibilmente  eighties che lo impregna di fascino. “Prospector of Greed” regala all’ascoltatore un’altra manciata di veloci e compatti riffs sostenuti da una base ritmica efficace e trascinante. Anche in questo caso il gusto “retrò” del tema principale evidenzia una buona capacità dei nostri di confezionare heavy metal di buon livello. “Why” viaggia invece su coordinate melodiche completamente differenti dal resto del platter, addolcendo la proposta musicale del combo con morbidi e caldi arpeggi e vocals ricche di romantica espressività. La malinconia risalta in ogni nota di questo pezzo, soprattutto nel refrain che ben ne esprime l’intimismo decadente. Risolutivo della forza espressiva di questa canzone risulta essere il caldo e abrasivo assolo posto a tre quarti di brano. “The Raid” torna a far ruggire la band che si lancia in una heavy song incentrata lungo ritmiche  cadenzate ma efficaci e un riffing diretto e senza fronzoli. Forse la ripetività del refrain  dimezza l’appeal di questo brano, ma è con il seguente episodio “Reach Out” che la band risolleva il livello qualitativo della propria proposta grazie ad un riffing sanguigno, potente, ma sempre improntato alla buona melodia. In chiusura “Ground Zero” non sminuisce la forza d’impatto del songwriting del combo che si lancia nell’esecuzione di un’altra heavy song dagli accenti ancora una volta votati ad una forte carica espressiva. Nota di merito, per citare un punto di forza del brano,  va fatta per il giovane Simon McBride che in sede solistica regala all’ascoltatore una buona prova delle sue capacità.

Concludendo questa recensione posso affermare con certezza che è un vero peccato che ci siano voluti così tanti anni per produrre un album come questo. Fosse uscito nel 1982 invece che nel 1996 sono convinto che avrebbe conquistato i cuori di molti Kids e forse avrebbe dato qualche importante chance agli Sweet Savane di emergere dal semi anonimato di cui sono stati vittime.

Tracklist:

1. Killing Time
2. Vengeance
3. Welcome To The Real World
4. Thunder
5. Eye Of The Storm
6. Parody Of Wisdom
7. DUD
8. Prospector Of Greed
9. Why?
10. The Raid
11. Reach Out
12. Ground Zero

Line Up:

Raymond Hailer (vocals / bass)
Simon Mc Bride (guitars)
Trevor Fleming (guitar)
David Bates (drums)

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