Recensione: Kind Delusion

Di Andrea Poletti - 11 Marzo 2017 - 15:27
King Delusion
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2017
Nazione:
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63

King Delusion” è un album doom-death che arriva dalla Germania, racchiude e incontra facilmente l’alto livello qualitativo di molti acts internazionali all’interno del suo sottogenere; una band che ha lavorato con diligenza e determinazione per non diventare solamente “la classica band tedesca”, ma per conquistare il cuore e l’anima di molti fans a livello globale attraverso questo terzo album.

Con queste parole si sintetizza e si chiude la biografia da parte della casa discografica in merito a questo terzo disco dei Nailed to Obscurity, una band che nel suo essere Tedesca porta al suo interno tutti gli stilemi classici del sound melodic death made in Finland e non solo. Ad essere onesti ci si aspettavamo molto, moltissimo da questo gruppo che è riuscito a racimolare una discreta visibilità negli anni arrivando a realizzare un disco colmo di pregevoli soluzioni, questo fatidico terzo album è la definitiva prova del nove. Cosa esce per la precisione da queste otto tracce è presto detto: una volontà compositiva non definita, la sensazione di essere di fronte a un gruppo che prende pezzi e bocconi da questo e quello per non avere un filo logico ben preciso, senza rinunciare ad atmosfere vincenti. Cattivo? No, sincero e diretto.

Musicalmente questo terzo importante album “King Delusion” porta, come già nei precedenti episodi, un perfetto mix tra quelle sonorità che hanno contraddistinto band quali Amorphis, Insomnium, in parte i vecchi Opeth e alcuni tratti dei Paradise Lost di un tempo dimenticato. Cosa? Come? Perchè? Avete letto bene, tutti questi grandi nomi uniti per dare vita a un disco che onestamente può sembrare un gioiello, ma a conti fatti vive e rimescola tutto quello che già da anni abbiamo imparato a conoscere. Come se la volontà di far entrare troppo in troppo poco sia così prepotente da non lasciarsi trasportare dentro questo mondo, dove a conti fatti la cover è la parte più bella del progetto.

L’introduzione è affidata alla ‘Titletrack’ che racchiude in se tutte le sfumature presenti nel disco, la perfetta sintesi del concetto musicale dei Nailed to Obscurity; aperture melodiche, riff dilatati che vanno ad incastrarsi benissimo con il cambio voce tra growl e quel pulito tendente al doom attraverso una produzione curata nel dettaglio. Non è tutto così prevedibile, o meglio, non è tutto così tanto prevedibile; gli stacchi atmosferici di ‘Protean’ e ‘Devoid’, l’intermezzo strumentale ‘Apnoea’ e la suite da dodici minuti ‘Uncage My Sanity’ riescono a ravvivare la situazione che inizialmente pareva compromessa. L’idea che ci sia un percorso da seguire, dove la combo iniziale ci porti volontariamente dentro il momento più meditativo fornito dalla quarta e quinta traccia, prima di entrare nella suite già citata, per poi ripiombare nel decadimento semi-violento del finale è ottimamente concepito. C’è un disegno, una logica dietro tutto questo susseguirsi di attimi e composizioni dove non possiamo che lasciarci andare in questo mare inesplorato fino alla culla dei nostri pensieri. ‘Memento’ nella sua lenta progressione può essere visto come uno dei picchi del disco, dove una melodia azzeccata in pieno inserita in questo vago sentore “doom“-eggiante, si fonde al meglio in un cerchio quasi perfetto; questa combinazione viene ritrovata anche dentro l’ottima conclusiva ‘Desolate Ruin’ che chiude il percorso al meglio andando in questo caso a ricalcare il sentiero degli Swallow the Sun più giovanili.  

Dunque, vediamo questo “King Delusion” come un discreto risultato, un disco definibile quale né carne né pesce, una band che prova a ricostruire palesemente tutte le atmosfere e le sfumature classiche di gruppi che nei decenni passati hanno scritto capitoli molto più importanti di questo, un fattore positivo però lo si trova: non annoia. Pare poco ma invece, il fatto di riuscire ad arrivare alla fine senza la voglia di skippare non è poco al giorno d’oggi; certamente sarebbe meglio farsi una sana dose dei classici del passato piuttosto che ricadere in questo concentrato di ovvietà, ma prendiamone atto e guardiamo i lati positivi. Un buon disco che senza lodi non diventerà mai un classico ma dalla sua ha la verve per lasciare in bocca quei piacevoli momenti di un tempo passato, vedremo che ne sarà di loro nel prossimo futuro anche se di band clone come i Nailed to Obscurity ne abbiamo fin sopra i capelli.

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