Recensione: Kings

Di Daniele D'Adamo - 7 Marzo 2017 - 16:29
Kings
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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“Kings”, debut-album dei norvegesi Images At Twilight, è un concept basato su due storie distinte: The Saga of the Ancient Warlords (TSOTAW)” e “The End of An Era Chapter (TEOAE)”. I cui capitoli, però, non seguono come ordine la successione delle song del full-length; trovandosi quindi mischiati come se, in realtà, il vero racconto si originasse dalla fusione delle storie stesse. Seguendo più la musica che le parole.

Gli Images At Twilight si autodefiniscono, a ragione, orchestral black metal. L’aggettivo classico utilizzato per definire questa particolare sotto-specie sarebbe symphonic ma, è vero, la componente classica è talmente evidente, qui, che non solo funge da accompagnamento alla strumentazione elettrica, bensì ne forma parte integrante e sostanziale. La colonna vertebrale del sound, insomma.

Senza che questo mini la furia degli elementi che innescano, negli Images At Twilight, la capacità di forgiare un black metal titanico, vertiginoso, stravolgente. L’incipit morbido e dolce di ‘Lograttin Part I (The Saga of the Ancient Warlords Chapter III)’, difatti, non deve ingannare: il riff portante è mostruoso, l’accelerazione totale, sfrangiata da incalcolabili sferzate di blast-beats. Che rallentano in furibondi quattro quarti per poi accelerare nuovamente verso le vette della follia. Vette. Immensi pinnacoli di roccia imbiancata dalle nevi perenni, che si ergono con stupefacente potenza dalle nuvole arroventate dal sole al crepuscolo. Attimo che si estende all’infinito per far vivere gli dei, quelli narrati dall’impossibile creatura musicale generata dal formidabile combo scandinavo.

Musica imperiosa, potentissima, che permea ogni singolo anfratto fra le molecole dell’etere, trascinata dal roco vociare di Bjørn “Narrenschiff” Holter e da cori sotterranei intonati nel growling. La sensazione è di visionarietà assoluta. La furia demolitrice dei titanici riff scatenati nella battaglia sonora dalle chitarre di Ihizahg e Bolverk non lascia spazio a immaginazione alcuna. Il pianoforte di Andre Aaslie vola letteralmente sui tappeti delle immani orchestrazioni, quasi beffardo, nella sua irraggiungibilità armonica da Primo Strumento. Lo spettacolo della Natura incontaminata, osservata nella sua più cupa intimità, diventa d’ineguagliabile bellezza, se ad accompagnare l’ascoltatore sono brani ieratici come ‘Ninhagaz (The End of An Era Chapter I)’. Anders Haave spinge come un ossesso, declamando strofe ritmiche roventi con la sua batteria, gettata spesso oltre l’orizzonte degli eventi, dove esistono solo i blast-beats. Nei rari rallentamenti, quando cioè si riesce a percepire con più chiarezza la sinfonia, la visione a occhi aperti di mirabolanti paesaggi alieni prende il sopravvento, richiamando pianeti distanti infiniti anni-luce orlati da incommensurabili altipiani dalla geometria non-euclidea. Dimensionali aberrazioni dell’umano pensiero, catartici luoghi ove la purezza della musica diventa quasi divina.

Gli Asi. Gli Images At Twilight.

L’apertura di ‘Lograttin Part II (TSOTAW Chapter IV)’ è semplicemente mostruosa: cori mugghianti sferzano tutto e tutti, la velocità di esecuzione sfonda la sfera del suono, le chitarre urlano di dolore per la rapida successione di riff che debbono sopportare, la sinfonia è completamente avvolgente. L’insieme è cinematograficamente sterminato, come un indescrivibile viaggio nel tempo, che si compie attraversando come missili eoni arcaici, ere medievali, secoli moderni, millenni futuri. La solennità delle linee vocali è il giusto connubio a una musica regale, austera, sacerdotale. Violentissima. Travolgente. Annichilente.

È l’Epoca dei Giganti: Bjørn “Narrenschiff” Holter, Ihizahg, Bolverk, Viti, Anders Haave e Andre Aaslie. Sconfinati Maestri di musica che si ergono come titani sulle macerie della mente, stravolta dalle fulminanti progressioni di ‘Created to Destroy (TSOTAW Chapter V)’, ammaliata dalle allucinate, romantiche, meravigliose, mastodontiche melodie che esplodono non appena il devasto dei blast-beats si assottiglia un attimo, non appena i lamenti delle anime perse si levano all’imbrunire del giorno.

Musica totale. Metallo totale. Black metal totale.

Impossibile tentare dei paragoni con altre formazioni che popolano l’insieme del ridetto symphonic black metal. Niente e nessuno si può avvicinare alla monumentale sfera di elettroni iridescente alimentata dal cozzo delle quantità infinite di note che danno forma a canzoni assolutamente pazzesche come ‘Kaizanbar (TEOAE Chapter II)’. Niente e nessuno. Gli Images At Twilight sono il massimo assoluto. Solo loro riescono a trasmettere vita alle Valchirie che, dai tempi di Richard Wagner, attendono qualcuno che le resusciti. Per cavalcare, stavolta, in direzione dell’Infinito, andando a morire là, dove nascono i sogni. Che, dove nascono, muoiono. Perché black metal è misantropia, black metal è rifiuto della società degli uomini così com’è ora, balck metal è fuga verso l’ignoto, black metal è affogare nella marea dei blast-beats, black metal è demolecolarizzarsi nel regale turbinio dei riff, black metal è disfarsi smembrati dal tuono del basso. Black metal è morire.

Black metal è vita. Ma non questa. Black metal è resurrezione. Ma non quella in altri mondi. Black metal è fusione integrale e perfetta con la Natura, nell’unica maniera possibile. Quella che indicano gli Images At Twilight con il loro Capolavoro: “Kings”.

Daniele “dani66” D’Adamo

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