Recensione: Kiske

Di Mauro Gelsomini - 19 Maggio 2006 - 0:00
Kiske
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Anno: 2006
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Ad un anno di distanza dal progetto Place Vendome l’ex singer degli Helloween torna in studio per incidere il suo terzo album solista.

Il CD omonimo segue l’ottimo debut Instant Clarity, del 1996 (ristampato in mid-price dalla Frontiers in occasione dei 10 anni dall’uscita in concomitanza di questa release), e dell’anonimo “Readiness To Sacrifice”, di due anni dopo.

Sembra che con questa uscita l’ex zucca di Amburgo abbia voluto prendere al più presto le distanze da quell’album hard rock/Aor che era stato “Place Vendome”, considerandolo un genere forse ancora troppo vicino a quel “Metal” che da una decina d’anni, con sempre maggiore insistenza, Micheal si è sforzato di rinnegare.
Infatti gli undici brani inclusi cercano di chiamarsi fuori da quello che evidentemente per Kiske costituisce lo stereotipo da cui fugge: l’elettrificazione finalizzata all’impatto, all’accelerazione, all’energia… Il tutto, sempre criticando ciò che per il sottoscritto è evidente, sarebbe per Michael del tutto dannoso per ciò che gli sta a cuore, ovvero la musica, l’arte, intesa in senso adulto e maturo.
Non starò quindi a puntare ulteriormente il dito su ciò che è di fronte agli occhi di tutti, e che diversi utenti hanno più volte sottolineato, cioè che Kiske stia da troppo tempo sputando nel piatto da cui per anni ha mangiato e da cui continua in maniera ipocrita a mangiare (innumerevoli le sue apparizioni in progetti metal o affini), né additerò all’insuccesso dei suoi lavori solisti (Supared incluso) l’alimentazione di questo astio nei confronti di un genere e dei suoi fruitori.
Fatto sta che ad un pubblico fortemente critico e attento come lo è quello dei nostri lettori, e soprattutto in un clima di forte crisi del mercato discografico, le esternazioni di Michael non contribuiscono ad accrescere l’interesse per delle composizioni che vengano pensate – a priori – per prendere le distanze da certi “stilemi”: se è vero che un pubblico non è da considerare immaturo solo perché apprezza determinati cliche’, è anche vero che questo stesso pubblico non può per partito preso avvicinarsi ad una proposta fatta di undici ballate senz’anima, o quanto meno che non riescono a trasmettere l’ispirazione che le ha generate, così molli e annoiate, come lo stesso Kiske ha dimostrato di essere in occasione di un’intervista alle cui domande sembrava costretto a rispondere.

Ciò che forse qualcuno dovrebbe consigliare a Michael non è smetterla con questa sterile lotta nei confronti del metal, ma pensare un po’ meno a fuggire dai fantasmi del passato per dedicarsi di più alla musica che tanto dice di avere a cuore.

Tracklist:

  1. Fed By Stones
  2. All-Solutions
  3. Knew I Would
  4. Kings Fall
  5. Hearts Are Free
  6. The King Of It All
  7. Sing My Song
  8. Silently Craving
  9. Truly
  10. Painted
  11. Sad As The World

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