Recensione: Kiss

Di Abbadon - 17 Luglio 2003 - 0:00
Kiss
Band: Kiss
Etichetta:
Genere:
Anno: 1974
Nazione:
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85

Da sinistra a destra: una stella davanti alla quale svengono le ragazzine, un “uomo gatto” furbo e malisioso, un demonio perverso e un folle uomo spaziale. Questi quattro elementi, nel 1974, irruppero senza mezzi termini sulla scena rock mondiale, mostrando fin da subito che da lì in avanti il movimento sarebbe cambiato. Erano nati i Kiss. Il quartetto, formato (nello stesso ordine di come li ho introdotti prima) dal cantante Paul Stanley, dal batterista Peter Criss, dal leader e bassista Gene Simmons e dal chitarrista Ace Frehley, avrebbe portato una decisa ventata di fresco al movimento rock dei magici seventies, con una serie di innovazioni che li avrebbe poi sempre contraddistinti , partendo dai leggendarii Make Up, arrivando ai vestiti e ai calzari che sembravano tratti da un classico film spaziale/comico, e che però contribuirono enormemente alla loro immagine. Una cosa contraddistingueva i Kiss dal resto delle band della scena, ovvero che pur non avendo tra le proprie fila musicisti eccellenti, anzi direi anche abbastanza inferiori (voce di Stanley a parte) a quelli della concorrenza, riuscirono a conquistare il mondo non con la tecnica strumentale in sè, ma con uno stile compositivo basato sull’energia, il ritmo, il brio. Ma soprattutto, ciò che permise a questi nuovi “Bad Boys” del Rock’n’Roll di affermarsi in tutto il mondo, facendoli divenire da lì a pochi anni i portatori della fiaccola dell’hard rock (insieme agli Ac/Dc, nati poco dopo) della fine degli anni settanta, era l’incomparabile carisma di tutti i suoi membri, capaci di trasmettere una energia positiva impressionante in tutti coloro che li ascoltavano. Questo aspetto, già notevole sui dischi, veniva amplificato a dismisura nelle prestazioni live, tra le più incredibili che si siano mai potute ammirare. Questi sono i Kiss, e questo omonimo debupt-album è solo l’inizio di questa scalata al successo e all’olimpo del rock. Il disco è ancora non maturo al 100%, ma presenta già  quello che saranno le basi dei successi futuri del combo, descritti poche righe sopra. A livello musicale, come già accennato, ci troviamo dinanzi a un prodotto di medio valore, dalla buona esecuzione strumentale, anche se nettamente inferiore a quella dei gruppi che impersavano nei primi anni ’70, eccezion fatta per la voce eccellente di Paul Stanley, che si dimostra fin da subito una delle migliori ugole del panorama, con quella tonalità calda, suadente e ipnotica, che ci strega per tutte le 10 song (quasi tutte piuttosto brevi, ma intense) che compongono questo lp. Notiamo anche un basso traino centrale delle melodie, accompagnato dalla batteria di Criss che detta bene i tempi. Ace con la sua chitarra non fa molto più che rifinire il tutto, a modo suo però, dando quel tocco di classe che, vista la semplicità delle esecuzioni, non tutti
sarebbero in grado di dare (non è un paradosso, bisogna avere un notevole talento per impreziosire un brano pur con assoli e riffs facili ma mai scontati).
Questo esordio targato Kiss si apre con un pezzo che è un classicissimo della band, ovvero l’ottima “Strutter”. Song aperta in drumming, si sente subito il tocco di Gene dietro le corde, che imprimono un ritmo decisamente adatto al dimenarsi. Bellissimi i coretti, guidati da un eccellente Paul Stanley, buoni gli stacchi di Ace, per un mix totale da leccarsi i baffi, mix che si esaurisce dopo 3 minuti e poco più per lasciar spazio a “Nothin’ to Lose”. Anche questa è una traccia molto molto dinamica, aperta da un ottimo basso, che rimarrà tale fino alla fine dell’esecuzione, ricamato decisamente con classe dalla guitar. Stavolta Stanley usa meno il calore della voce e risulta più deciso, attaccando l’ascoltatore col suo timbro inconfondibile. Belle anche le backing vocals di Simmons, sempre in gioco quando c’è da cantare. “Firehouse” si apre sulla chiusura in fade della precedente canzone, e si dimostra pezzo in parte differente dai primi due. Più lento e molto più scandito, si distinguono ancora chiaramente i riff di basso, carichi come non si era ancora sentito in questo disco. Belli i brevi assoli di Ace all’inizio e nella parte conclusiva della track, insopportabili
gli “UH YEAH!” iniziali (ma sono gusti). Decisamente originale e azzeccatto l’opening di “Cold Gin”, basato sull’ottimo gioco sui piatti della batteria. Altro mid tempo, meno cattivo e più spassoso di “Firehouse”, Cold gin maniene comunque le medesime caratteristiche della precedente song, in tempi, ritmiche eccetera, mettendoci giusto un pò più di pepe. Aumenta discretamente il ritmo sulle note della seconda “mastertrack” dell’album, per
i gusti di chi scrive, ovvero sulle note di “Let me Know”. Un mix musicale decisamente carismatico, che impedisce all’ascoltatore di stare fermo sul posto, e lo invita malignamente a scatenarsi. Si nota anche il miglior Frehley di tutto il disco, stavolta non nelle vesti di accompagnare, ma in quelle di mattatore, assieme all’immancabile Gene Simmons. Eccellente anche l’inizio di “Kissin’ time”, il miglior mid tempo in assoluto presente su Kiss. La grande intonazione nei vari passaggi per Paul, e gli ottimi riff, tra i più ballabili e magnetici di tutta la cricca, rendono “Kissin’ Time” il mio pezzo preferito (con Strutter), di una compilation che sta continuamente crescendo di livello man mano che scorre. Questo trend positivo è confermato dalla bella “Deuce”, forse la canzone con più virtuosismi complessivi, pur nella sua vivacissima linearità. Ace fa qualche numero alla sua chitarra, strumento migliore, assieme alla batteria, della song. Song che dopo circa tre minuti lascia spazio a dire il vero a una sua “collega” che non mi ha entusiasmato molto, ovvero la strumentale “Love theme from Kiss”. Brano decente, ed anche orignale, ma con nome decisamente altisonante, risulta pure un poco stonato alle mie orecchie, specie se paragonato ai precedenti. Decisamente meglio gli altri temi amorosi che compariranno
sugli album futuri del combo mascherato. Finita anche la strumentale, inizia la invece ottima “100.000 years”, che ha una partenza incrediblmente cupa, ma poi si sviluppa in un gran bel riff, accompagnato alla grande da tutti gli strumenti in gioco, basso in primis. Belle anche le rifiniture per un pezzo da ricordare, anche per il lungo e ottimo doppio assolo, prima di chitarra, e poi, per un attimo, di batteria (che lascia un pò a desideare a dire il vero).
Al doppio assolo ne segue un terzo, conclusivo, che ci porta in pompa magna verso la conclusiva “Black Diamond”. L’inizio è bellissimo, con delle corde pizzicate a tonalità particolarissime, corde accompagnate da un coro che non lascia scampo all’immaginazione. Il brano poi torna nei canoni classici, anzi di più, con un riff spettacolare, docile ma imponente ed aggressivo allo stesso tempo, che ci prende per mano per oltre 5 minuti, tempo più alto in assoluto per una canzone di Kiss.

Riff che tra l’altro chiude questo album, il primo di una lunga serie di perle che come detto porterà i Kiss a bruciare avvero le tappe in ambito di popolarità ed amore ricevuto dai fans. Non è assolutamente il miglior prodotto di Simmons e soci, ma è una tavola degnamente imbandita, quello senza ombra di dubbio.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) Strutter
2) Nothin’ to Lose
3) Firehouse
4) Cold Gin
5) Let me Know
6) Kissin’ time
7) Deuce
8) Love theme from Kiss
9) 100.000 years
10) Black diamond

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