Recensione: Kodama

Di Andrea Poletti - 18 Novembre 2016 - 5:55
Kodama
Band: Alcest
Etichetta:
Genere: Alternative Metal 
Anno: 2016
Nazione:
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71

Lo spirito della natura, l’entità invisibile che echeggia nel mondo non umano e risiede in ogni essere vivente. Kodama è intelligibile ed immutabile, lo si percepisce senza rendersene conto attraverso i vari avvenimenti che la natura offre ai propri ammiratori. Un album basato sul concept del mondo naturale, ingabbiato ed intrappolato, contro l’umano costruito; tutto questo influenzato indirettamente dal film d’animazione Princess Mononoke di Hayao Miyazaki. Un pot-pourri pazzesco per creare ricreandosi attraverso una volontà non celata di andare verso l’oscuro e quell’impatto vero e proprio che manca da tempo.

Così tornano sui grandi schermi gli Alcest, un silenzio durato due anni dove i fans hanno dovuto accettare o meno la svolta stilistica repentina avvenuta nel precedente “Shelter”; un disco che ha lasciato in molti con l’amaro in bocca ed altri ancora con la sensazione che qualcosa stava accadendo. Ripartendo da ancora più indietro, da quel “Le Voyage De L’aime” del 2012 possiamo dunque intrufolarci li, ipoteticamente in quel lasso di tempo ed inserire “Kodama” quale filo conduttore tra il terzo e il quarto disco ufficiale. Una sorta di filo rosso che riesce ad oggi a diventare il bilanciamento perfetto tra passato e utopico futuro.

“Abbiamo voluto tornare a qualcosa di un po più incisivo, in questo momento abbiamo sentito questo bisogno in maniera molto naturale perché dopo un album così dolce come il precedente, volevamo fare qualcosa di un po’ più pesante. Per quanto riguarda le chitarre ho voluto riportare il riffing ed i contrasti nel nostro suono, esplorando le potenzialità della mia chitarra per quanto mi fosse possibile. Ho sentito che alcune delle canzoni potevano beneficiarne di espressioni con più contrasti, così ho scelto di ampliare lo spettro vocale; ho scelto di non limitarmi andando da urla molo dure ad un cantato molto arioso con linee vocali eteree”

Queste sono le parole usate dallo stesso Neige, per raccontare a suo modo, tutto ciò che può essere descrivibile e raccontabile in via semplice e diretta, facendo luce tutto ciò che sta dietro il concepimento musicale dell’album. Andando ancora più in profondità riusciamo a comprendere anche come la volontà di riprogrammare il disco su una base di cinque canzoni più una sesta, come outro, richiama in maniera esplicita sia “Écailles de Lune” che “Souvenirs d’un autre monde”, quasi a tributargli il merito dello status attuale degli Alcest stessi. Sarò rapido e indolore, li davo per persi al precedente album; andai a vederli pure dal vivo per rimanerci ancora più basito attraverso banalità e superficialità di certe nuove composizioni. A dispetto dei miei pensieri devo ammettere che finalmente gli Alcest hanno “realizzato” che erano andati troppo oltre, hanno ripreso il toro per le corna e han registrato un album che pur non essendo galattico, si ascolta e si apprezza per onestà e spontaneità. Come scritto precedentemente riportare in auge il classico momento screaming con chitarra zanzara, vedasi “Eclosion”, per contrastare le armonie delicate e soavi di “Oiseaux De Proie” rilancia la rinata creatività del duo. Bisogna confermare come la voglia di Neige di Giappone si percepisce prepotentemente, andando a far diventare alcuni passaggi come delle ipotetiche colonne sonore di qualche manga in salsa shoegaze; la matrice compositiva è rimasta la stessa ma oggi guarda molto più distante, senza quella passata paura di chiudersi entro se stessa in circolo vizioso. Era classico ascoltare passaggi particolarmente ariosi sormontati da uno screaming, che per quanto efficace, aveva un misto di nostalgica depressione insita così in profondità; anche oggi tutti i paramatri sono rimasti ai loro posti, nulla è cambiato fortunatamente. La depressione e nostalgia malinconica non sono svanite, quel misto di fragile romanticismo si mescola con un decadentismo sonoro che solo i nostri sono in grado di realizzare. Nella sua brevità, poco sopra i quarantadue minuti, “Kodama” viaggia su binari infelici, emotivamente parlando, che sfruttano indirettamente la presa malinconica sull’ascoltatore, espandendo il suono attraverso l’affresco ritmico della band ispirata quanto basta. Viene dunque difficile riuscire a ritrovare una ipotetica classificazione del genere tanto è ampio lo spettro sonoro-empatico a fine ascolto; bisognerebbe lasciarsi trasportare, invadendo le anticamere della noia e buttarsi a capofitto dentro una contemporanea natura selvaggia e criminale. Sonorità aliene e figure amorfe si delineano all’orizzonte delle battute musicali e tu, vedi più lontano dell’orizzonte.

Sorrido, penso quanto li diedi per persi, finiti e sepolti mentre oggi mi ritrovo a promuoverli bellamente perché sinceramente questa è buona musica. Oltre le etichette, oltre i gusti personali, oltre le infami parole usate a sproposito v’è emozione nell’ascoltare alcuni passaggi che riecheggiano nelle foreste del tempo. Brani contemporaneamente semplici ma contorti da esprimere emotivamente e noi, partecipi di questo circense avvenimento, applaudiamo ripremendo play. Alcest, Kodama”, what else?

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