Recensione: L’Esprit des Vents

Di Daniele D'Adamo - 22 Luglio 2018 - 17:41
L’Esprit des Vents
Band: Aorlhac
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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79

Gli Aorlhac guardano al passato, sia medievale sia moderno, con particolare riguardo alle loro radici occitane; evocando la storia del Sud della Francia che si estende sino al Nord dell’Italia e alla Spagna. L’occitano non è solo una lingua ma un’intera cultura di cui gli Aorlhac sono rispettosi testimoni del patrimonio dei loro antenati.

Forti di questo senso di appartenenza a radici che raggiungono epoche lontane, gli Aorlhac imbastiscono il proprio black metal su una struttura dai contorni epici, cavallereschi, da favola. I quali, oltre a essere le fondamenta per i testi, ammantano la musica di una forte essenza legata strettamente al passato e alle leggendarie gesta di popoli facenti parte del DNA delle genti d’oggi.

“L’Esprit des Vents”, il neonato, chiude la trilogia cominciata nel 2008 con “À la Croisée des Vents” poi proseguita nel 2010 con “La Cité des Vents”. Una trilogia che definisce compiutamente il lungo viaggio intrapreso dagli Aorlhac nella ricostruzione storica di un’era nella quale il Sud della Francia era abitato da coloro che parlavano la lingua d’oc, mentre al Nord imperava la lingua d’oïl. Sud che, rispetto al Nord, aveva e ha, fra le tante, una caratteristica peculiare: quella di essere costantemente battuta dai venti, Mistral in primis.

Su questa particolarità geografica, allora, gli Aorlhac hanno imbastito le loro canzoni. Le quali, seppur travolte da ondate di blast-beats quasi a simulare le folate di una tempesta, posseggono un profondo sentimento di malinconia, legato indissolubilmente a dei toni dai contorni eroici, per dar luogo a un esempio assolutamente calzante di… epic black metal.

Spellbound svolge le sue linee vocali in maniera piuttosto originale per il genere di cui trattasi, non abusando cioè dello screaming quanto per concentrarsi su un modo di cantare roco e perfettamente intelligibile, necessario per comprendere le storie raccontante, rigorosamente in francese. Questo approccio è inconsueto, per il black metal, e difatti regala alla band una certa novità, rispetto al solito urlare dei vocalist black.

È anche la musica, comunque, a eseguire la sua parte in modo coerente con i temi trattati, assumendo un forte, potente senso di grandiosità che segna indelebilmente lo stile del quartetto della natia Auvergne-Rhône-Alpes. Ciò è dovuto principalmente al pianto delle chitarre, assai impegnate a costruire armonie che rimandano, anch’esse, al periodo storico più su citato. Non si tratta quindi della riproposizioni dei classici riff zanzarosi di molto black metal quanto, bensì, di elaborazioni raffinate e complesse, connotate da una forte componente visionaria.

Violentissima la sezione ritmica, come del resto sopra anticipato, alimentata dalla furibonda batteria di Ardraos. Mai doma, impegnata costantemente a impartire numeri di BPM di tutto rispetto, che ben si amalgamano ai fini e delicati ceselli delle due asce, ottimamente impostate nei frequenti arpeggi dal sapore medievale. La potenza e velocità del drumming, difatti, più che trascinare il combo in direzione della barriera del suono, servono come irruento tappeto per le mitiche cavalcate di Spellbound, NKS e Lonn (‘1802-1869 | Les Méfaits de Mornac’).

Il lavoro che si nasconde dietro a “L’Esprit des Vents” è davvero tanto. Eseguito in maniera precisa, nello studio sia dei singoli episodi storici, sia nella loro integrazione nella musica. Gli Aorlhac hanno profuso il massimo impegno nella genesi della loro opera, e questo si sente, si percepisce, si tocca con mano.

Ovunque.

Daniele “dani66” D’Adamo

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