Recensione: La Muerta

Di Roberto Gelmi - 5 Giugno 2018 - 10:00
La Muerta
Band: Subsignal
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2018
Nazione:
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84

Quinto studio album in 11 anni di carriera per i Subsignal, nati come costola dei gloriosi Sieges Even, band del talentuoso cantante Arno Menses. Dopo il valido The Beacons of Somewhere Sometime, la nuova fatica dei bavaresi è un altro centro in una discografia ancora poco nutrita ma di qualità. La Muerta (titolo e artwork a effetto che, ironia della sorte, per certi versi imita ironicamente quello degli Amorphis) si apre nei migliori dei modi. Dopo un intro strumentale frizzante, la title-track ripropone il sound fresco e variegato dei Subsignal, che vive delle linee vocali cesellate di Arno Menses e di una sezione ritmica dalle giuste asprezze. Non mancano inserti acustici, una sezione piena di assoli prog. e certa doppia cassa di teutonica memoria (seppur col contagocce). Commuove il refrain di “The Bells of Lyonesse”, un altro brano compassato che fa sognare per il perfetto affiatamento dei membri della band. Stupisce il synth iniziale di “Every Able Hand” che sembra preso da un album dei cugini d’oltreoceano Enchant. Markus Maichel lascia spazio al suo eclettismo con un ventaglio variegato di sintetizzatori; sicuramente la traccia più solare in tracklist, che però sa variare tanta positività a momenti velatamente oscuri, regalando un altro brillante higlight della band tedesca, che nei secondi finali spinge sull’acceleratore per trascinare l’ascoltatore. L’intermezzo per chitarra acustica “Teardrops will Dry in Source of Origin” sembra rugiada tonificante, sgorgata per partenogenesi; si respira la classe di una band navigata come possono essere gli Shadow Gallery…. Armonia a non finire nella successiva “The Approaches”, ma anche qualche sprazzo di psichedelica e le solite tastiere sbarazzine a dialogare con la 6-corde. Ottimismo puro in “Even Though the Stars Don’t Shine”, dove stupisce la facilità dei Subsignal nel trasformare in oro ogni melodia composta.
L’ottava traccia è la più lunga in scaletta: con i suoi sette minuti abbondanti “The Passage” è un altro centro in una tracklist ben bilanciata. Spiccano nuovamente gli arrangiamenti di tastiera e la compattezza della base ritmica. La freschezza che trasuda il pezzo sembra rendere il minutaggio una mera formalità, il passaggio potrebbe andar avanti ad libitum, cosa che non riesce a molte band odierne. Nell’ultimo quarto d’ora del platter la band vive di rendita, ma c’è spazio ancora per una sorpresa. “When All the Trains are Sleeping” richiama alla mente i Marillion e la produzione cristallina è valore aggiunto al brano. Meno convincente “As Birds on Pinions Free” (titolo preso in prestito da un verso di W. Whitman), dai ritmi troppo compassati e un refrain poco riuscito. Altro discorso per il mesto epilogo, “Some Kind of Drowning”, una ballad flebile e struggente con la voce fatata della cantante russa Marjana Semkina (iamthemorning). Come fu con Marcela Bovio in “The Blueprint of a Winter” (da Paraiso, disco del 2013), Arno Menses è bravissimo anche in un contesto a due voci e il risultato parla da solo. Da segnalare, come bonus track, due versioni editate di “Even Though the Stars Don’t Shine” e della title-track, nel caso voleste arrivare all’ora tonda d’ascolto.

Che dire? I Subsignal sono ormai una realtà difficilmente evitabile nel contesto prog. europeo e mondiale. La band di Monaco di Baviera con La Muerta raggiunge vette qualitative nettamente superiori agli Spock’s Beard di Noise Floor e agli Arena di Double Vision. Spiccano brani come la title-track, “Every Able Hand“, “Teardrops will Dry in Source of Origin” e “The Passage“; la produzione, altresì, opera di Kalle Wallner e Yogi Lang, è estremamente pulita e curata, difficile fare meglio nel valorizzare il sound dei tedeschi. Insomma un album da avere senz’ombra di dubbio: il 2018, quasi al suo giro di boa, continua a regalare musica di livello.

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

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