Recensione: Larvæ Offal Swine

Di Daniele D'Adamo - 29 Aprile 2016 - 19:22
Larvæ Offal Swine
Band: Abhomine
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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60

Pete Helmkamp di Kansas City (Missouri, US) è una leggenda dell’underground death metal statunitense. Angelcorpse, Kerasphorus, Feldgrau, Order From Chaos, Revenge, Terror Organ, Blasphemophagher, Impiety, Infernal War, Black Witchery e Watain sono band che, in un modo o nell’altro, portano il suo zampino.

Zampino che s’è fatta zampa per dar vita al nuovo progetto Abhomine. Creatura in tutto e per tutto sua, giacché trattasi di primo esperimento di one-man band, messa su soltanto l’anno scorso.

“Larvæ Offal Swine” è il debutto, che esce oggi 29 aprile 2016 per la label super-specializzata in marciume e frattaglie varie, cioè l’Hells Headbangers Records di Valley City (Ohio, US).

Com’è lecito attendersi sia dall’artwork – totalmente grezzo e involuto – , sia dal titolo – che non necessita di ulteriori commenti – , sia dai testi – che pongono l’Uomo come radice di una società abominevolmente disgustosa – , il disco suona old school death metal nella sua emanazione più sordida, putrefatta e puzzolente. Un sentore acido di decomposizione che permea tutte le song del platter, da ‘Intro – Worm Pig Shit’ a ‘Outro – Larvæ Offal Swine’.

Song nelle quali ciò che si deve cercare è tutto, fuorché mirabili esecuzioni tecniche, elementi di progressione e/o evoluzione da un sound arcaico, che trova inizio nella notte dei tempi (metà degli anni ’80). Tutto, infatti, è calibrato su un approccio che si avvicini quanto più possibile al death metal primigenio. Quello, cioè, che vorticando rapidamente su se stesso, eiettava dalla matrice primordiale i primi abomini che rispondevano al nome di Possessed e Morbid Angel.

Helmkamp, com’è giusto che sia, non si limita a reiterare quanto già sviluppato da altri, cercando al contrario di connotare, al proprio sound, qualcosa che lo renda personale. Riconoscibile in mezzo a mille. L’operazione riesce tuttavia in parte. Sì, la roca ugola del Nostro, che sprizza fiotti di pus a mò di saliva, è qualcosa di davvero morboso, malato, allucinato. Un elemento di sicuro impatto. Più della musica in sé, ove non brillano né i tanto zanzarosi quanto monotoni riff di chitarra, né tantomeno l’indecifrabile rombo continuo del basso. Decente il drumming, se non altro perché Helmkamp, fortunatamente, non si è avvalso di una drum-machine bensì di un session-man. Chiaramente indiavolato pure lui, oltre al mastermind.

Malgrado tanto impegno e, soprattutto, devozione alla causa, “Larvæ Offal Swine” dà l’idea, almeno a parere di chi scrive, di essere una sorta di canzoni dalla scrittura eterogenea. Il sound c’è, ed è pure accettabile, come focalizzazione. Sono i brani a dare l’impressione di essere stati raffazzonati qua e là. Del resto, fa anche pensare che in realtà essi siano solo sette, e che il platter duri poco più di venti minuti veri.

Alla fine dei conti, però, non si può non affibbiare a “Larvæ Offal Swine” una seppur risicatissima sufficienza. Abhomine sprizza purezza stilistica da ogni poro dalla pelle tatuata di Helmkamp. Che, come altri, con la sua genuinità e rifiuto di ogni compromesso di natura commerciale, tramanda alle nuove generazioni la particolare e pataologica bellezza dell’old school death metal. Per tutta la vita, sino alla fine.

Daniele D’Adamo

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