Recensione: Last Place on Earth

Di Francesco Sgrò - 15 Agosto 2019 - 0:23
Last Place on Earth
Band: Ardours
Etichetta:
Genere: Gothic 
Anno: 2019
Nazione:
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70

Anno 2015: la suadente ugola della splendida Mariangela Demurtas (vocalist dei norvegesi Tristania) e il talento musicale del polistrumentista Kris Laurent, si fondono nel nucleo principale degli Ardours, progetto senz’altro ambizioso ed interessante, che finalmente riesce ad emergere solo nella seconda metà del 2019 con la fresca pubblicazione di questo “Last Place On Earth”.

Affidati alle sapienti cure della Frontiers Music, i nostri aprono le danze con le sognanti atmosfere dell’intensa intro “What Else Is There”, per poi abbandonarsi ad un rock estremamente contaminato e melodico, dove ad emergere sono senza dubbio le eleganti melodie condotte dalla bravissima singer, come dimostrato dalla diretta e suggestiva “Catabolic”, piacevole e ben strutturata nel suo incedere fiero e tribale.
Certo: la sensazione di trovarsi di fronte ad un gruppo incompleto cui, soprattutto, manchi il prezioso apporto tecnico di un reale batterista è molto forte, ma complessivamente il brano risulta vincente nella sua semplicità, permettendo dunque all’album di decollare nella giusta direzione.

Costruita intorno ad un’ossatura solida, formata da un massiccio scheletro composto da chitarra e tastiera, la title track  riesce bene nel compito di mantenere viva l’attenzione del fruitore, mentre nell’aria si stagliano le note dell’ipnotica “Design”, ancora una volta caratterizzata da un consistente tappeto tastieristico, volto a conferire una maggiore ed intensa profondità all’atmosfera.
Un velo di malinconia scandisce poi l’anima della seguente “Last Moment”, abilmente fornita di un ritornello furbo e ruffiano quanto basta per attirare l’attenzione dell’ascoltatore, il quale poi viene dolcemente cullato dalla voce della Demurtas, protagonista assoluta della sognante “The Mist”, intensa ballad introspettiva e crepuscolare.

Una buona dose di contaminazioni elettroniche contraddistingue la successiva “Therefore I Am”, mentre la profonda “Truths” torna con successo ad esplorare il lato più introspettivo degli Ardours, i quali si avviano poi alla conclusione dell’opera, affidando gli ultimi istanti di musica alle piacevoli “No One Is Listening” e “Totally”, che concludono un album certamente non immediato, ma invero comunque gradevole nel suo insieme, nonostante sia sempre viva la sensazione di una certa staticità di fondo, dovuta alla scomoda mancanza di una reale sezione ritmica a sostenere l’universo musicale degli Ardours.

 

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