Recensione: Lawless Darkness

Di Daniele D'Adamo - 23 Agosto 2010 - 0:00
Lawless Darkness
Band: Watain
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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74

Watain: torna l’intransigenza fatta black metal!
Dopo tre full-length, è ora la volta del quarto: “Lawless Darkness”, registrato presso i Necromorbus Studio di Alvik (Swe) giusto per far capire che la pasta è sempre quella. Black vissuto e suonato nella maniera più ortodossa possibile, non rinunciando alle esagerazioni – criticabili in positivo o in negativo – che derivano da quest’approccio. Soprattutto in sede live, ove i Nostri reiterano i più sanguinolenti rituali. Del resto E (Erik Danielsson) ha lavato i suoi panni nei Dissection, il che spiega tanto se non tutto.

A ogni modo sta a ciascuno di noi interpretare, come meglio crede, la fanatica attitudine del combo di Uppsala, per cui non rimane che passare all’aspetto artistico della questione.

L’album, presumo volutamente, è diviso in due parti musicalmente simili ma allo stesso tempo diverse, nella materia. Una si può individuare nel segmento compreso tra “Death’s Cold Dark” e “Hymn To Qayin”, l’altra corrispondente ai due brani finali: “Kiss Of Death” e “Waters Of Ain”.

Il primo insieme è un monumento allo stile natìo: al di fuori del fiero piglio reazionario non c’è nemmeno un accordo di basso. Black metal primordiale, violentissimo, nichilista. Un turbinìo di note feroce e blasfemo, scatenato dagli inferi più profondi con l’unico scopo di mettere a ferro e fuoco l’auditorio. Blast-beats a ondate (“Death’s Cold Dark”), rallentamenti e accelerazioni del ritmo (“Four Thrones”), rifferama malato dalle maligne dissonanze, linee vocali deliranti (“Reaping Death”). Queste sono le principali connotazioni che sono state messe dai Nostri sul piatto della portata principale, condita dallo screaming non eccessivamente efferato ma anzi controllato nella sua foga ipnotica del «buon» E. Le fondamenta del sound sono raffigurate da un guitarwork improntato principalmente sulla ricerca di atmosfere sulfuree e arcane, mancando della potenza posseduta, ad esempio, dalle coppie d’ascia delle thrash-band. Come ben si sa, però, quest’aspetto è connaturato al black: prendere o lasciare. Le parti soliste, gradevoli, sono invece da rimarcare poiché assai raffinate nella loro sostanza marcatamente melodica (“Malfeitor”). Il mood, oscuro e morboso, si mostra manifestamente nella lugubre “Wolves Curse”, tagliata e cucita nella classica veste heavy dal lavoro delle chitarre. Sembrerebbe che P (Pelle Forsberg) e compagni preparino l’attrezzatura per la definitiva discesa al centro della Terra: la sinuosa title-track si evolve su un robusto mid-tempo che dà il tempo al buio di calare con angosciante gradualità. C’è tempo pure per l’headbanging con il black ‘n’ roll di “Total Funeral” che riprende per mano la furia demolitrice messa, prima, in temporanea attesa.
Sino alla furibonda “Hymn To Qayin”, malgrado non cali mai la tensione, non ci sono – come si poteva supporre dalle premesse – grandi novità rispetto al «già sentito». L’ensemble svedese sa quel che fa e pertanto mette in mostra i muscoli con abilità e dovizia di particolari, evitando nello stesso tempo di uscire dalla sicurezza della strada maestra.             

I due ultimi brani (a parte la cover dei Death SS: nemo propheta in patria …), pur non presentanti – anch’essi – innovazioni anomale, analizzano e poi amplificano, quasi esponenzialmente, la depressione dell’umore. La parte melodica sgrezzata dall’opera delle due sei corde assume importanza rilevante (“Kiss Of Death”) per indebolire la resistenza alla misantropia. Una gelida pioggia scroscia sulla pelle fiaccando la volontà anche dei più forti: la definitiva discesa nelle viscere inizia per compiersi con “Waters Of Ain”. Lunga, articolata e pregevole suite impreziosita da un solo chitarristico di gran classe e dall’ottimo gusto musicale.

Dopo una prima parte che sostanzialmente non regala grandi emozioni il disco prende quota, canzone dopo canzone, raggiungendo una buona levatura; aiutato in ciò dal mestiere dei musicisti e dalla bontà qualitativa del suono. Immancabile nella collezione dei blackster di tutte le specie, necessita di numerosi ascolti prima di essere adeguatamente apprezzato.

Daniele “dani66” D’Adamo

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Track-list:
1. Death’s Cold Dark 5:29
2. Malfeitor 6:58
3. Reaping Death 5:07
4. Four Thrones 6:16
5. Wolves Curse 9:12
6. Lawless Darkness 6:08
7. Total Funeral 6:04
8. Hymn To Qayin 5:57
9. Kiss Of Death 7:46
10. Waters Of Ain 14:31
11. Chains Of Death (Death SS cover)

Line-up:
E – Vocals
P – Guitars
H – Battery
Live members:
Set – Guitar
A – Bass
Guest:
Carl McCoy – Vocals on “Waters of Ain”

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