Recensione: Left In Grisly Fashion

Di Giuseppe Casafina - 21 Novembre 2014 - 23:57
Left In Grisly Fashion
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2005
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
70

Partiamo dalla fine.

Già, la fine: perché, diciamocelo subito, abbiamo a che fare con quella che per il sottoscritto potrebbe essere stata una delle più grandi occasioni sprecate della storia del brutal death, gore, slam, grind o come diavolo vogliamo chiamarlo.

Partendo da ciò, aggiungiamo poi che tale band di eroi si era già contraddistinta in passato per lavori di notevole spessor… ehm, no, non mi riferisco al comparto lirico e nemmeno alla copertina (ricordiamo quella dell’esordio che è un vero tocco di finezza per l’eccitazione del brutallaro medio). Bensì allo spessore della musica proposta vale a dire un brutal death estremamente compatto e mai troppo canonico. Capace di sprizzare tra i suoi solchi un qualcosa di personale, una formula che già al secondo disco ‘sapeva’ di Prostitute Disfigurement e non ricalcava alcun cliché da clonazione in serie come invece le ‘centordicimila’ band brutallose avevano fatto sino a quel non troppo lontanissimo 2005.

Ne parlerò forse in toni troppo entusiastici, ma se devo essere sincero al periodo della sua uscita questo disco non mi prese granché in quanto lo reputavo ascoltabile e carino. Ripreso d’impeto oggi e riascoltato in serie dopo i due platter che l’hanno preceduto, il tutto si colora non più di semplice piacevolezza, ma di amaro dispiacimento, come quelle squadre sportive o atleti cui tenevi tanto e che non c’è l’hanno fatta a settare un nuovo record mondiale per colpa di una bazzecola.

Su questo “Left in Grisly Fashion”, titolo che la dice tutta sulle ampie dosi di cazzeggio delirante per descrivere musicalmente le tematiche gore più estreme e grottesche, la formula della band si affina ulteriormente. Colpisce ancor più nel segno seppur nella scala globale del disco ci si renda conto che qualcosa ha mandato in malora tutto il resto e magari all’inizio, nell’esaltazione generale, non ce se ne accorga. Inizialmente si apprezza il disco per quei riff e assoli di chitarra sempre perfettamente incastrati ai temi goliardicamente horror della band, poi si notano le eccellenti doti tecniche dei vari strumentisti e l’ottimo songwriting, con pezzi che si mostrano straordinariamente vari per il genere: ‘tutto molto bello’.

Quindi cosa c’è che non va?

Se badate bene prima ho parlato di strumentisti e non ho citato in alcun modo la performance di chi sta dietro al microfono, vale a dire del cantante. Ora, i puristi del genere mi diranno che sono pazzo, che lo stile è questo e che magari io non capisco nulla. Tuttavia per me non è possibile, in questo caso, basare un intero album su un unico e solo stile vocale raramente intervallato da qualche scream avvolto dalla distorsione (peccato, perché la cosa dona un’anima hardcore/crust a certi passaggi del disco). Non è possibile perché alla luce di quanto fatto a livello strumentale e di stesura dei pezzi sarebbe stato quantomeno lecito aspettarsi una performance decisamente più varia, più in linea a tutto il resto. Invece, ci dobbiamo beccare un ‘suino’ che fischietta per il 95% del disco senza variazioni di sorta esattamente come nel 95% delle produzioni brutal.

Non si può dapprima distinguersi dalla massa in maniera così brillante e poi toppare a causa di quello che è il motivo per cui nessuna brutal band riesce a fuoriuscire dal suo range di culto per appassionati. Per tale motivo i Disfigurement, meglio abbreviarli col secondo termine piuttosto che con il primo, dovevano osare di più anche a livello vocale.

Non rimane che accontentarsi di un disco strumentalmente eccellente, ispirato, ma rovinato da una performance vocale quasi del tutto monocorde, piatta e senza enfasi. È anche un disco che nonostante tutto emana un certo alone malsano da cantina di qualche serial killer residente tra le ridenti campagne texane, una puzza di cadavere putrefatto che ristagna nel frigorifero di un cannibale in grado di vivere in segreto tra la società civilizzata, un’inquietudine tipica di chi è finito preda di qualche chirurgo pazzoide da laboratorio e che sa già che nessuno potrà mai salvarlo in quanto l’avvento della sua dissezione mortale è ormai imminente. Il tutto è frutto dell’ispirato lavoro melodico di chitarre o forse, in fondo, anche di quella voce monocorde e fastidiosa? Che forse alla fine si finisce per amarla? Questa recensione è un ossimoro di se stessa? Ho scritto tutto questo per nulla?

Chissà… resta dentro di me il dubbio che se solo i Prostitute Disfigurement avessero osato non dico con un altro vocalist, quanto con una maggiore varietà vocale, “Left In Grisly Fashion” sarebbe negli annali del brutal death assieme a dischi come “Tomb Of The Mutilated” dei Cannibal Corpse. E scusate se è poco, quindi mi tengo l’amarezza e penso a ciò con rimpianto.

Dite che ci ho messo troppo sentimento per descrivere un disco brutal? Beh, le recensioni richiedono passione, cari miei… perciò smettetela di guardarmi con quello sguardo losco!

Giuseppe “Maelstrom” Casafina

Ultimi album di Prostitute Disfigurement