Recensione: Legacy

Di Roberto Ponte - 26 Febbraio 2012 - 0:00
Legacy
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Anno: 2011
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80

Nel corso del tempo alcuni generi musicali nel bene o nel male sono sempre rimasti uguali a loro stessi e in alcuni casi, come per l’hard rock melodico e l’AOR, parrebbe un’ardua impresa immaginarli con elementi stilisticamente molto lontani dalla matrice originaria. In questi ultimi anni, però, in un periodo musicale in cui si tentano di mescolare in un “crossover” ardito anche le cose più lontane, nemmeno l’hard melodico è rimasto escluso del tutto da questi esperimenti.

I The Morning After, infatti, insieme a gruppi quali i Blessed By A Broken Heart e i Black Veil Brides, fanno parte di quella scena che, pur partendo da una matrice principale hard rock di stampo eighties, uniscono a questa elementi disparati e talvolta moderni di metal.
Quartetto inglese dell’Essex, formatosi nel 2005, i The Morning After sono al secondo full-lenght: dopo l’EP “Bring The Horror” (2007) e l’album d’esordio “You Can’t Hurt Steel” (2009), ecco fresco di stampa il nuovo “Legacy” su Rising Records dove troviamo una band rinnovata per metà line-up, basso e batteria.
Rispetto al precedente lavoro, ancora più vario nello stile e dal sound più pesante, “Legacy” principalmente pone hard melodico e AOR alla sua base, soprattutto nei ritornelli. Inoltre, in aggiunta a una notevole dose di  heavy classico, qua e là ci sono tantissime influenze di svariati stili: dal thrash al rock sinfonico, fino al metal moderno, con inserti di cantato potente e addirittura growl. Per niente forzato o artificioso, il risultato di questa commistione di generi apparentemente lontani è ottimo, provare per credere.

L’intro omonimo al titolo dell’album, si apre con cori sinfonici, cresce con l’entrata successiva degli strumenti e apre “Into The Fire”, uno dei pezzi più convincenti dell’album. Fresca e potente anche grazie a un’ottima produzione in studio, si apre con un coro tipicamente AOR e, seppur mantenendo una struttura tipicamente hard rock, alterna alla voce pulita principale parti vocali tirate e growl, parti di batteria in doppio pedale, chitarre armonizzate in ottimi assoli e pure un coro da arena rock verso la fine. Il tutto realizzato in maniera naturale e di grande presa.
Successivamente, “Limit” procede su coordinate più classiche e anche questa risulta coinvolgente anche grazie al lavoro della sezione ritmica, che in tutto l’album dà spessore e compattezza al sound, in special modo la batteria, con un tiro metal pure nei brani più soft.

A seguire “America”, primo video dell’album, che scorre piacevolmente ma nella quale il ritornello suona abbastanza carico di clichè.
Prosegue “The Witch Is On My Back”, traccia che si apre con un killer riff tra thrash e heavy classico con un doppio pedale di batteria ben presente: anche questo episodio appare riuscito nella sua varietà di generi.
Lo stile della successiva “On The Wire” ci riporta indietro nel tempo al periodo NWOBHM: il ritornello colpisce nel segno ma si ripete troppe volte e a più ascolti annoia. In generale questa caratteristica la troviamo anche in alcune altre composizioni di “Legacy”, dove i ritornelli sono ridondanti poiché ripetuti tante volte da colpire a primo ascolto, ma con il rischio di annoiare alla lunga.
L’elaborata “Stream Of Stars”, nella sua durata di oltre dieci minuti, tiene aperte le porte a sperimentazioni stilistiche eterogenee e, seppur nella sua non linearità e la tanta carne al fuoco, risulta positiva nonostante la parte lenta centrale un po’ prolissa.
Si passa a “These Hills Have Eyes” che, aperta da un buon riff di chitarra, risulta un altro episodio riuscito tra cori melodici e chitarre heavy, dove nuovamente si fanno largo una voce growl e un buon solo di chitarra.
Stessa cosa si può dire per “Powerdrive”, in bilico tra heavy classico, cori AOR e partiture più tirate ma, come già detto in precedenza, si nota una certa ripetitività nel ritornello.
La successiva “Rest In Pieces” oscilla tra heavy e hard melodico, dove per l’ennesima volta vengono utilizzati variegati registri vocali fino a un inframmezzo con una parte di voce tra qualcosa di alternative e i Pantera (!). Nel finale in crescendo, da una parte vocale sinfonica si passa in scioltezza a un cantato metalcore, per sfociare in un veloce solo di chitarra finale.

Ritroviamo elementi più classici in “Nightmare Planet”, buon pezzo hard melodico con la particolarità di interventi di voce che ricordano qualche vocalist new wave- dark anni ’80. Il finale di sola voce e pianoforte risulta toccante con una prestazione del cantante sopra le righe. Caratteristici sono i testi che, generalmente in tutto l’album, trattano di argomenti attinenti alla fantascienza, ma anche horror e apocalittici.
La penultima traccia è la ballata acustica “Seasons”, che con i suoi chiaroscuri non riesce però a colpire nel segno del tutto, risultando in secondo piano rispetto a tutto il resto detto finora.
A conclusione “I Walk With Giants”, gran pezzo melodico diretto, con un brillante chorus che fa venire subito voglia di alzare il volume delle casse. Il bel solo di chitarra con le sue armonizzazioni sfocia in un finale tutto cori  a inseguirsi fino a conclusione.
 
Sicuramente la prova di “Legacy” risulta molto positiva, sia per la buona fattura della quasi totalità dei brani, sia per una band che è riuscita ad unire con disinvoltura influenze disparate in maniera personale. Rimane il rammarico che con qualche accorgimento in più e qualche sfoltita qua e là a livello di arrangiamento, sarebbe  potuto diventare un album davvero eccellente.
Al di là di queste considerazioni, i The Morning After appaiono una piacevole sorpresa e una band da seguire con attenzione in futuro.

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Tracklist:

01.    Legacy
02.    Into The Fire
03.    Limit
04.    America
05.    The Witch Is On My Back
06.    Over The Wire  
07.    Streams Of Stars  
08.    These Hills Have Eyes  
09.    Powerdrive  
10.    Rest In Pieces  
11.    Nightmare Planet  
12.    Seasons  
13.    I Walk With Giants  

Line-Up:

Sam Ryder Robinson: Voce/ Chitarra
Phil Maher: Chitarra/ Voce/ Tastiere
Gary Stone: Basso/ Voce
Jake Booth: Batteria

 

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