Recensione: Les Chateaux de la Loire

Di Tiziano Marasco - 18 Gennaio 2016 - 0:00
Les Chateaux de la Loire
Band: Ellesmere
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Nel comporre Les Chateaux della Loire avranno ascoltato forse questi Ellesmere quel piccolo capolavoro fuori tempo massimo che è La via della Seta delle Orme (fuori tempo massimo – nel senso che è uscito pochi anni fa ad annoni di distanza dai grandi classici dei maestri)? Perché in effetti il concept è abbastanza simile per struttura ed anche per sonorità, ma sarà bene fare un passo indietro.

Ellesmere nasce in realtà come un side-project, ed è una one man band, tipo di formazione che, evidentemente, sta prendendo piede anche fuori dal panorama black metal. Nasce da un’idea di Roberto Vitelli, bassista e chitarrista della prog band italiana Taproban. In contrasto col sound energico di questi ultimi, con gli Ellesmere Vitelli si focalizza su un approccio acustico e sinfonico, dai tratti fortemente bucolici, anche grazie ad un quai onnipresente flauto, suonato da un ospite illustre: John Hackett, fratello dello Steve dei Genesis.

Les Chateaux della Loire, si diceva, è un disco bucolico con enormi influenze settantiane, a tutti gli effetti spinto da quell’esigenza di recupero, normalmente molto accademico, che da qualche tempo alcuni definiscono come ”regressive” e che ha negli Opeth i suoi “paladini”. Ma non tutti i recuperi sono regressioni, provare per credere. A tutti gli effetti infatti, Les Chateaux della Loire è un album estremamente ispirato. Come suggerito dal titolo, ogni traccia, presentata come parte di una suite, è dedicata ad uno degli antichi castelli che sorgono sul corso del maggior fiume di Francia.

Sebbene, in effetti, l’album non abbia molto della suite, si snoda attraverso episodi carichi di fascino, dominati da tastiere eteree, tappeti acustic. Rari e magici sprazzi di chitarra elettrica alternati a frequentissimi, ma non meno magici, affreschi al flauto, spezzano la monotonia bucolica, donando una incredibile profondità a tracce che, pur essendo strumentali, colpiscono fin da subito. Dietro a questo lavoro sono innegabili presenze assai ingombranti, su tutti i momenti più pacifici di In the Court of the crimson King e di Selling England by the Pound, pur tuttavia il disco è allo stesso tempo è interpretato con spirito prog italiano e qui ritroviamo le orme sulla via della seta.

Perché questo disco, che a un occhio distratto altro non è che l’ennesima “operazione nostalgia”, è in realtà un lavoro ispiratissimo, un lavoro che potrebbe divenire un ottimo soundtrack. Soprattutto si tratta di un lavoro estremamente ispirato, è semplice notare che sia dovuto ad una semplice esigenza artistica (anche data la natura del progetto) e non a un freddo calcolo. Per tutti i nostalgici del nostro miglior prog. E non solo.

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