Recensione: Lex Amentiae

Di Giuseppe Casafina - 28 Luglio 2017 - 10:43
Lex Amentiae
Band: Order
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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80

Eravamo quattro amici al bar, che (un tempo) volevano cambiare la Norvegia…

Più o meno. Perché se oggi parliamo dei norvegesi Order mica parliamo di perfetti sconosciuti…siamo infatti al cospetto di Manheim, Messiah, Anders Odden e Stu Manx: i primi due passati alla storia, a loro modo, per aver fatto parte delle prima incarnazione dei Mayhem, il terzo chitarrista della storica death metal band norvegese Cadaver (dove adotta lo pseudonimo di Neddo) e l’ultimo, non certo per importanza, ex-bassista dei celebratissimi rockers scandinavi Gluecifer.

(il posto di bassista era precedentemente ricoperto da Renè Jansen, anch’egli membro dei Cadaver, poi sfortunatamente deceduto…la band ha anche eseguito alcuni pezzi in suo onore durante la cerimonia funebre)

 

Arrivano, dopo quattro anni di gavetta underground, al primo disco: “Lex Amentiae” è qui, pronto per esser celebrato in tutta la sua nera e luciferina lussuria. Lo stile della band è ovviamente ancorato alle radici primordiali che diedero inizio al metal estremo norvegese, sebbene la produzione sia ovviamente di stampo decisamente più moderno: scordatevi quindi il suono gracchiante della demotape, negli Order si sente tutto bene, definito come la tradizione odierna comanda (semplicemente stupenda la batteria così come eccezionale è il mix di chitarre, ogni frequenza è al suo posto e da tale punto di vista secondo il sottoscritto rappresenta una delle più belle, vibranti ad autentiche registrazioni degli ultimi anni in campo metal), con ovvia pace per le nostre orecchie non più costrette a sopportare suoni indefinibili ed impastati (non che fossero brutti, anzi, ma oggi a volte risulterebbero un po’ fuori contesto)! Partiamo subito col dire che qui di oscurità ve ne è molta ed è avvertibile sin da un primo distratto ascolto, con un ensemble sempre pronto a varcare i confini dei singoli generi allo scopo di offrire un unico calderone, amalgama dove l’ingrediente predominante appare il caro doom metal delle origini, vero e proprio motore primo dell’oscurità in musica miscelato ad un fare ritualistico ed un mood alla Celtic Frost pesantissimo (e la cover di ‘Procreation (Of the Wicked)’, rallentata ed accordata in basso rispetto all’originale, non è affatto un caso), ricreante un mix di elementi estremamente vicini a quello che sarebbe stato il fluido generatore del black metal di un tempo. La caratteristica che balza all’occhiello è la prova del singer Messiah, acida e carismatica, fuori dai cliché tipici dell’estremo e per certi versi vicina a quella che fu l’interpretazione di Attila Csihar sullo storico “De Mysteriis Dom Sathanas” dove, sebbene il buon Messiah abbia al giorno d’oggi una versatilità timbrica decisamente inferiore (almeno su disco) agli standard attuali dello storico vocalist ungherese, vanta comunque un  timbro a suo modo unico in grado di particolarizzare fortemente la proposta degli Order, con il risultato complessivi di un disco decisamente non semplice nonostante il primo impatto possa sicuramente trarre in inganno.

 

Partendo con ‘Winter’ si assiste sin da subito ad uno spettacolo che per molti risulterà sicuramente fuori tempo massimo, ma che per molti altri adoratori della vecchia scuola sarà un autentico dono degli inferi: un mid-tempo di puro stampo doom che ben presto si evolve in un riffing black metal serratissimo tanto semplice quanto tagliente, un vortice di sonorità velenose alla vecchia maniera reso ancora più urticante dalla performance acidissima di Messiah. I vari cambi di tempo sono sempre ben equilibrati e ben ponderati nel songwriting complessivo dei pezzi, raggiungendo casi di altissimo feeling dove le sonorità sinistre danno sempre il loro meglio verso il finale, momento dove la band aggiunge sempre quel dettaglio in più in grado di lanciare con maggior carica il pezzo. Nella prima metà del disco, i Nostri riescono a scolpire brani che lasciano un segno indelebile nel cuore degli amanti delle care sonorità estreme che furono, avvolgendo i nostri padiglioni e la nostra mente con dosi letali di quella oscurità tanto ricercata e mai replicata dei vecchi tempi, vedasi ad esempio il trittico costituto dagli inquietanti echi ‘Celticfrostiani’ di ‘Prophet’ (brano presentato come anteprima del disco, non a caso uno dei migliori), l’evocativa ferocia vecchia scuola di ‘Torquemada’ (tenebrosa, pesante ed epica all’unisono, a mio parere il brano migliore del disco oltre che quello maggiormente convincente al primo ascolto, ulteriormente caratterizzato da un testo in lingua spagnola) e la breve ma decisamente intensa furia thrash-oriented di ‘Dugma’, dove lo spirito dei cari anni ’80 più estremi ruggisce sul serio come ai bei vecchi tempi, mentre la prestazione vocale del singer guida le danze nella maniera migliore che possa mai esistere.

Davvero un terzetto di gran belle lezioni di vecchia scuola del metallo nero più autentico, tra riff sinistri quanto basta e cambi di atmosfera mai fini a se stessi.  Un disco come questo va ascoltato più di una volta per essere davvero compreso appieno: io stesso sulle prime l’ho erroneamente male interpretato, giudicandolo come un album proponente un sound  a cui, tolta la furia anomala del singer, pareva avere ben poco di interessante…ma mi sbagliavo, tanto che son bastati pochi ascolti per ricredermi completamente.

 

 

Segue l’oscura riproposizione di ‘Procreation (Of The Wicked)’ dei Celtic Frost, qui priva delle distorsioni ruvide e mediose di Tom G Warrior ed immersa nel caleidoscopio marziale della formazione norvegese, la quale ne rallenta le fondamenta e ne inspessisce l’assalto sonoro, per un tributo che non nasconde minimamente l’ammirazione per il vero, unico motore primo umano del black metal, aka Tom Gabriel Fisher, presenza strisciante per tutto il disco in oggetto, oltre che fondamentale per l’intero fenomeno del black metal norvegese di un tempo. Da notare a tal punto come, per quanto “Lex Amentiae” risulti un disco sicuramente devoto alla vecchia scuola, non vi sia alcun singolo momento in cui ciò sia sinonimo di un platter composto sul mood nostalgico dei tempi che furono, quanto semplicemente frutto di quattro musicisti ancora convinti nel suonare in quella maniera, sinceramente e senza fronzoli. Vero anche è che certe sonorità le abbiam già sentite centinaia se non migliaia di volte, ma di fronte a cotanta spontaneità ogni precedente viene abbattuto a favore della fruizione, spensierata ed appassionata, di un verbo tutt’oggi intramontabile e più che mai vivo nel suo essere ‘morto’, dove tal termine va interpretato nel senso di oscuro, anti-commerciale, ruvido.

‘Viktimized’ ha dalla sua un inizio doom/black da pelle d’oca che dopo pochi minuti si evolve in un nuovo rincorrersi deciso di chitarre tanto ‘thrasheggianti’ quanto oscure, per poi riprendere a lacerare le carni con dei rallentamenti che fan male davvero e dove il cantato di Messiah assume connotati ben più ritualistici, in un crescendo sempre più avvolgente di chitarrismi dal mood maligno come non mai (il tutto sempre nel nome del buon Tom G. Warrior) per poi riprendere le coordinate iniziali, accelerare nuovamente e sfumare definitivamente nel vuoto. ‘Folly Grandeur’ ricorda per certi i Saint Vitus più movimentati (!), con un andamento volutamente monotono che nel finale si arricchisce di un crescendo arcano. ‘Savage’ rappresenta una lacerazione estremamente maligna dei nostri padiglioni auricolari, nuovamente nel segno del doom più malato e luciferino e, sebbene sia per certi versi uno dei brani forse meno brillanti rispetto al resto, alla fine risulta comunque molto efficace.

Arriva il finale e l’omonima ‘Order’, introdotta un campionamento (…probabilmente? In caso errato me ne scuso) hitleriano, ci spedisce nei meandri di un brano ancora più ritualistico ma in questo caso, nonostante un riff semplice quanto efficace l’eccessiva lunghezza delle strofe, assieme agli interminabili reclami di Messiah, affossa la fruibilità del tutto. Qui la capacità di batter sullo stesso chiodo si è a mio parere ritorta contro, rovinando palesemente il songwriting del pezzo: un brano che non mi ha convinto nemmeno dopo ripetuti ed estenuanti ascolti, ed è un vero peccato perché un disco così ben riuscito a mio parere avrebbe meritato  una chiusura ben più efficace. Poteva essere un grande pezzo, se non fosse che qui si è strafatto.

Ovviamente, tralasciando volutamente quest’ultimo aspetto, parliamo comunque di otto pezzi ben riusciti su nove, otto episodi che vanno dal buono all’ottimo e che rappresentano uno splendido esempio di metal estremo alla vecchia maniera eseguito da gente che la vecchia scuola l’ha vissuta veramente…e si sente! Un disco dalla registrazione assolutamente splendida, onesto ed a suo modo particolare per via dei musicisti che lo hanno composto (e che, son sicuro, senza tale premessa nessuno si sarebbe mai filato…brutale sincerità), un primo tassello musicale che di certo non rappresenta un capolavoro assoluto, ma che rimane comunque uno dei più bei dischi dell’anno ancora in corso.

Onore agli Order, perché se questo disco fosse uscito verso la fine degli anni d’oro oggi probabilmente ce lo ricorderemo come un classico senza tempo e, proprio per tale sincera devozione ai bei tempi estremi che furono, “Lex Amentiae” ci riporta immediatamente con la mente a quei tempi sin dai primi ascolti. E non è assolutamente poco: due aspetti non secondari quindi, di cui la valutazione finale tiene ovviamente conto.

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