Recensione: Light In The Dark

Di Francesco Maraglino - 14 Ottobre 2017 - 6:30
Light In The Dark
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2017
Nazione:
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82

Prendete un pugno di vecchie glorie dell’AOR e dell’hard rock melodico/class metal dei tempi che furono, metteteli insieme per suonare quel che hanno sempre saputo suonare molto bene (ritmi trascinanti, melodie carezzevoli, ritornelli innodici, assoli virtuosi ma carichi di feeling, power ballads col cuore in mano), aggiungete un produttore esperto e creativo, ed ecco a voi un bel disco di AOR dei nostri tempi.
Potrebbe essere l’incipit di tante – forse persino troppe –  recensioni e di tanti comunicati stampa relativi a uscite di rock melodico degli ultimi tempi. Articoli tutti concernenti dischi che magari sul momento ci entusiasmano e ci riportano indietro agli eighties, ma che dopo un po’ dimentichiamo per far posto al nuovo analogo progetto, o al riascolto nostalgico di un consumato vinile d’epoca.
Così non è, però, per i Revolution Saints, i quali nel 2015 hanno lasciato un segno con un lavoro che ancora ci fa piacere riascoltare, un po’ come avveniva con i classici del passato (ma non vogliamo fare paragoni, per carità: ogni prodotto artistico va pesato e misurato anche in relazione al tempo in cui esce).
D’altro canto, gli elementi costitutivi del trio sono di primissimo piano, e non certo colti dalle retrovie dell’heavy rock o in fase di pre-pensionamento. Si tratta di vere leggende di questo genere musicale, ancora perfettamente attivi e senza bisogno di riciclarsi. Stiamo parlando, infatti, di Deen Castronovo (Journey) alla batteria e alla voce, Jack Blades (Night Ranger, Damn Yankees)  al basso ed al canto, Doug Aldrich (Whitesnake, Dio, Lion, Hurricane, tra le tante band, ed oggi Dead Daisies) alle chitarre, con la rilevante partecipazione del dominus incontrastato dell’AOR di questi giorni, il produttore/autore/tastierista Alessandro Del Vecchio.
Dopo i riscontri lusinghieri del primo album, e la partecipazione al Frontiers Rock Festival, ecco arrivare, il secondo disco,  a testimoniare la tutt’altro che effimera durata del progetto, dal titolo “Light In The Dark”.

Proprio Light In The Dark (la title-track), è un bel biglietto da visita per tutto l’LP: si tratta di un uptempo che palesa i Revolution Saints come se fossero dei Journey più heavy, caratterizzata da un eccellente canto  e da un’ascia assolutamente sopraffina. Ride On è pure un veloce ed incalzante melodic rock tra Journey e Night Ranger, ben contrassegnata dai suggestivi giochi dei tasti d’avorio. Don’t Surrender, ancora,  è un MHR corale molto devoto agli anni ottanta,  moderato nel ritmo ma energico nel gioco di basso e batteria  e accattivante nelle melodie.
Take You Down, poi, nonostante i suoi riff di chitarra tra i più aggressivi del lotto, è un altro ottimo esempio di rock “adulto” di gran classe. Anche Running On The Edge propone un AOR innodico ed euforizzante che procede spedito tra saette chitarristiche e ritmiche implacabile, così come la fiera ed pressante Another Chance.

The Storm Inside preferisce, invece, sfiorare un lato un po’ più abrasivo dell’hard rock, grazie ad una metronomica sezione ritmica, alla sei-corde a sporca e sprizzante watt, ed alla voce qui graffiante e vissuta.
Can’t Run Away From Love è, di contro, uno slow da manuale ben lontano dall’essere stucchevole e sempre sul sentiero tracciato dai Journey, e pure Falling Apart è una  ballata, stavolta sospesa e intensa e dal ritornello accattivante.  I Wouldn’t Change A Thing parte con piano e voce (con uno sfondo di tastiere) ma poi ecco arrivare gli altri strumenti elettrici come di prammatica,  e ti aspetti di veder apparire Steve Perry da un momento all’altro. Naturalmente l’inevitabile assolo melodico di chitarra è anche qui magistralmente condotto da Aldrich, così come esemplari solo gli assoli d’ascia (ed il drumming) della cadenzata ed evocativa Freedom.

Detto che la versione deluxe contiene anche alcune tracce dal vivo tratte dal sopra citato FRF (anche in DVD), tiriamo le somme dichiarando che “Light In The Dark” è un’opera all’altezza delle aspettative, con il suo Adult Oriented Rock devoto al suono classico di cui i tre componenti la band hanno contribuito a creare e privo di  riempitivi. Il nuovo album dei Revolution Saints è in grado di valorizzare il possente incedere della batteria di Castronovo ed  il magistrale ruolo della chitarra di Doug, differenziandosi da altre proposte del settore, oltre che l’elevata qualità, anche per il valore aggiunto della grinta a volte sbarazzina di Blades.

Francesco Maraglino


 

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