Recensione: Like a Bloody Herald Remains

Di Stefano Ricetti - 17 Agosto 2006 - 0:00
Like a Bloody Herald Remains
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Anno: 2006
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64

Nell’antichità, l’Araldo era il portavoce ufficiale del re, e andava nelle piazze a diffondere il suo messaggio. Questo è uno stralcio delle note accompagnatorie del Cd degli italiani Bloody Herald, che giungono al debutto discografico con Like a Bloody Herald Remains per la sempre attenta e interessante etichetta My Graveyard Productions. I propulsori del progetto sono Jack (basso) e William (chitarra), che danno vita alla band nel settembre del 2002. Dopo le inevitabili traversie legate alla ricerca delle persone adatte e soprattutto motivate, nell’aprile dello scorso anno vede la luce il primo demo che permette loro di ampliare il raggio d’azione all’interno del circuito dei concerti milanesi. Le influenze dei Nostri sono le più variegate: si passa dai Virgin Steele ai Cradle of Filth, anche se alla fine il prodotto fuoriuscito è tipicamente heavy metal, con svariati segnali agli Iron Maiden.

Il disco.
Blood of a Child
si rifà alla lezione impartita dalla Vergine di Ferro anglosassone, periodo d’oro Paul Di’Anno, richiamando il mitico singer nei vocalizzi di Adam precedenti al solo che chiude il brano. Ashes mi rimembra i grandi Steel Crown di Yako De Bonis, in Demons of the Sand gli Iron Maiden fanno ancora capolino per via delle cavalcate chitarristiche, Pyromaniac sfiora il thrash metal americano con finale arricchito da growl.

Forest è l’episodio lento del lotto, a mio parere inutilmente allungato oltre i sei minuti: più concretezza non avrebbe certo stonato, dando al brano quel qualcosa in più che manca. Silence parte in sordina per poi esplodere in un riffing e un cantato aggressivo e moderno, costituendo l’episodio più violento dell’intero Cd. Fearbringer, grazie a chitarre granitiche e pesantissime, farà sfracelli da vivo, accompagnando l’headbanging delle prime file, la title track paga pegno alle note più viscerali della Nwobhm e anche in questo caso, la song perde in potenzialità per via dell’eccessiva durata. Si chiude con la “maidenhelloweeniana” Metamorphosis, allungata anch’essa oltremodo.          

Da sempre ritengo sia meglio suonare la musica che più piace fregandosene altamente del fatto di rifarsi a stilemi consolidati e i Bloody Herald ricadono ampiamente in questa scuola di pensiero. A tratti mi hanno dato l’idea dei giocatori di calcio al debutto, che tendono a strafare finendo per scartarsi da soli… I Nostri, a mio avviso, devono sforzarsi di compattare le proprie esecuzioni, puntando verso una maggior potenza e immediatezza. Certi sofismi avranno tempo di svilupparsi più avanti nel tempo. Mi sento comunque di promuovere il loro lavoro e sono certo che, eliminate alcune lacune legate al cantato acerbo di Adam, che deve migliorare nell’estensione e nell’interpretazione in generale, risentiremo parlare presto dei Bloody Herald.  

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

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