Recensione: Line of Fire

Di Stefano Ricetti - 13 Gennaio 2011 - 0:00
Line Of Fire
Band: Danger Zone
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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82

L’emozione vera, ovvero quel frammisto di brividi, immagini e battiti cardiaci accelerati è patrimonio di non moltissimi dischi nella vita musicale di una persona appassionata. Come tale, raramente accade, ancor più dopo aver fruito di dosi di watt continuate per tanti anni di seguito. In una situazione del genere si può ritrovare ciascuno, facendo gli opportuni distinguo legati alle diverse sfaccettature soggettive.

Line of Fire, per chi scrive, possiede il fascino degli album descritti sopra, per un paio di motivi ben precisi. Il primo, in ordine di importanza, riguarda l’inevitabile bramosia all’ascolto che si prova nel momento in cui ci trova ad assaggiare un frutto proibito. Si, perché il secondo capitolo dei bolognesi Danger Zone è a tutti gli effetti uno fra i più eccellenti “incompiuti” della storia dell’HM italiano. Secondo: costituiva il viatico per poter  far dire a una band tricolore di avercela finalmente fatta.  

La genesi e la storia di Line of Fire è opportunamente e doverosamente spiegata all’interno del booklet che accompagna l’uscita del disco da parte dell’etichetta tedesca Avenue Of Allies. Mastermind del progetto è oggi come allora il chitarrista Roberto Priori, che rimane saldamente al comando di quel sogno chiamato Danger Zone passando indenne attraverso vari cambi di line-up e incisioni di demotape.

Il 1984 vede concretizzare il primo parto all’ombra delle Torri degli Asinelli nell’Ep  Victim Of Time. La band suona in diversi Festival fino ad arrivare a togliersi grandi soddisfazioni aprendo per delle leggende come Saxon. A quel tempo, val la pena ricordarlo, fare da supporter a un gruppo di punta era molto ma molto più difficile che non oggidì. L’incontro con il famoso manager e promoter Francesco Sanavio apre Loro le porte al mercato Usa, culminando con l’indimenticabile show in una delle Cattedrali dell’hard’n’heavy a stelle e strisce come il Whisky A Go Go di Los Angeles, nell’estate del 1988.

Il miraggio Line of Fire pare trasformarsi in realtà già l’anno successivo, nel momento in cui l’emisfero Danger Zone si popola di personaggi fino a qualche tempo prima solo idealizzati. Il produttore Stephan Galfas, conosciuto per aver lavorato con Meat Loaf, Savatage, Stryper, John Waite e Saxon, viene coinvolto così come i suoi illustri colleghi Jody Gray e Mark Cobrin, già all’opera per Loudness e EZO.

Prima sessione di registrazione a Venezia nell’ottobre 1989 poi missaggio in quel di New York, da parte dello stesso Galfas che si avvale della collaborazione di Noah Baron (Winger, Blackfoot) e il succitato Cobrin.

I pezzi del disco vengono scelti fra i demo del passato frammisti ad alcuni nuovi di zecca realizzati per l’occasione, insieme con ben tre cover, caldeggiate dall’entourage americano:  Children of the Revolution dei T-Rex, That’s Why I Fell In Love With You di Eddie Rabbitt e Let Me Rock dei Chequered Past.

La band è al settimo cielo e la line-up compatta come non mai. Accanto a Roberto Priori i Danger Zone annoverano Stefano Peresson (chitarra e tastiere), Stefano Gregori al basso, Paolo Palmieri alla batteria e un talentuoso come Giacomo “Giga” Gigantelli dietro al microfono. L’adrenalina è a mille tanto che i Nostri ospitano, in qualità di special guest, anche Grace Jones sul pezzo Fingers.

Il trasferimento definitivo a Los Angeles è ormai pronto: il gruppo prova duramente per poter compiere il tanto agognato salto definitivo ma qualcosa si rompe. Gli infiniti e snervanti “tira e molla” con l’etichetta americana sfiancano le aspettative e fanno finire i soldi a disposizione che fino a quel momento erano riusciti a far mantenere salda la presa. Inevitabili, quindi, continue tensioni e split. I Danger Zone arrivano addirittura a vendere la propria attrezzatura musicale pur di non gettare la spugna.

Il trasferimento avviene, finalmente e fra innumerevoli difficoltà, ma è ormai fuori tempo massimo: Los Angeles non vive più di capelli cotonati, lustrini, pizzi e pailette ma di sole camicie di flanella, figlie dirette dell’esplosione Grunge. Per i bolognesi non c’è più spazio e a nulla serve l’ottima reputazione costruita suonando nei club della California del Sud.

Il ritorno in Italia è mesto e non più rinviabile. L’album “fantasma” Line of Fire circola in maniera carbonara – peraltro ricercatissimo dai tanti ultras amanti dell’hard rock di marca robusta degli anni Ottanta – solamente nei circuiti specializzati degli addetti ai lavori, con qualche inevitabile “allargamento”.  

Pare incredibile, ma a distanza di oltre vent’anni, finalmente, esce in veste ufficiale, in versione remaster proprio per mano dello stesso Roberto Priori, la persona più autorevole per farlo.

La title track suona americana al 100% confermando, se mai ce ne fosse bisogno, quanto riuscisse proponibile la proposta dei Danger Zone anche al di là dell’oceano. Il suono, poi, è fottutamente yankee-tardo anni Ottanta, così come gli stacchetti, gli “ooohhhhh” accompagnatori e i cori sempre sufficientemente carichi senza mai esagerare. La marcia in più dei bolognesi risiede nella voce “rubata all’HM” di Giacomo “Giga” Gigantelli, uno che dietro al microfono è esattamente in sintonia  con la parafrasi del suo cognome e dall’amalgama generale, a partire dalla coppia di asce.

La prima cover del lotto, Children Of The Revolution, risulta “dangerzonizzata”  quanto basta e l’iniziale dose di sano miele all’italiana da esportazione viene fornita da Walk Away, un pezzo che se fosse entrato in qualcuna delle easy listening che contavano  a quel tempo saremmo ancora qua a tesserne le lodi oggi. Fingers featuring Grace Jones gode di un riffing perfettamente affilato e in linea con il suono della batteria, letteralmente rubato a quello dei Ratt, mantenendo quell’andamento saltellante che tanti cuori – e deretani – faceva pulsare sotto le luci del Sunset Strip.

State Of The Earth è solamente scontata, Hardline paga pegno ai migliori Dokken soprattutto per le schitarrate della premiata ditta Priori/Peresson nella prima parte, poi fa il verso ai Warrant. The Hunger risulta il pugno nello stomaco di Line of Fire, con ovviamente, Gigantelli completamente a suo agio fra cotanta dose di metallo – seppur cromato e frammisto a paillette –, la cover di Let It Rock da parte degli ‘Zone catapulta mentalmente, per incisività dei cori, produzione e cattiveria losangelena delle chitarre, direttamente a fine Ottanta. I riferimenti si sprecano, in questo caso: Kiss, Keel e Ratt, solo per citarne tre di numero.

Ultimo brano non ascrivibile ai cinque bolognesi  la ballad That’s Why I Fell In Love With You, una garanzia sia prima che dopo l’ottimo “trattamento” da parte di Priori&Company: pure magick, no other words… Chiusura affidata a Love Dies Hard, un concentrato di cliché targati Eighties da paura, proprio come ci si aspetta ed è giusto che sia per un album della portata di Line of Fire.   

Il disco, lungi dall’essere sempre e comunque accompagnato da quell’aura stucchevole, ultimamente davvero troppe volte instancabile tessitrice di nostalgie, dà corpo e anima a un gruppo meritevole come i Danger Zone, capace di scrivere pezzi resistenti alla prova del tempo, dalla caratura evidentemente evergreen. Ancora oggi, anno domini 2011, certe soluzioni “classiche” colpiscono nel segno, a testimoniare la bontà di indiscutibili stilemi. Probabilmente uno spaccato di storia dell’HM italiano sarebbe stato completamente riscritto, sotto l’ombra delle due torri rossoblu, se i Danger Zone fossero volati colà dove l’Hair Metal esplose, anche solo qualche tempo prima…

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti  

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Tracklist:
1) Line of Fire    4:31 (S.Peresson-R.Priori-S.Gregori-G.Gigantelli-J.Gray)
2) Children Of The Revolution    3:07 (M.Bolan)
3) Walk Away    5:05 (J.Gray-R.Priori-G.Gigantelli)
4) Fingers    4:09 (J.Gray-R. Priori)
5) State Of The Heart    4:11 (R.Priori-S.Gregori-S.Peresson-G.Giganteili-J.Gray)
6) Hardline    3:54 (R.Priori-S.Gregoti-S.Peresson-G.Gigantelli-J.Gray)
7) The Hunger    3:59 (R.Priori-S.Peresson-G.Gigantelli-S.Gregori-J.Gray)
8) Let Me Rock    2:51 (M.P.Des Barres- S.Jones)
9) That’s Why I Fell In Love With You    4:55 (E.Rabbitt-E.Stevens-B.J.Jr.Walker)
10) Love Dies Hard    4:51 (R.Priori-S.Gregori-S.Peresson-G.Gigantelli-J.Gray)

Line-up:
Roberto Priori: Lead guitar
Giacomo Gigantelli: Vocals
Stefano Peresson: Guitars, keyboards
Stefano Gregori: Bass
Paolo Palmieri: Drums

Background Vocals: Danger Zone, Jody Gray, Mark Cobrin, Stephan Galfas, James Palace, Michael Palace e Noah Baron
Background Vocals su Fingers: Grace Jones
Additional Keyboards and Acoustic Guitars: Jody Gray

 

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