Recensione: Lingua Mortis

Di Abbadon - 5 Luglio 2003 - 0:00
Lingua Mortis
Band: Rage
Etichetta:
Genere:
Anno: 1995
Nazione:
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95

Progetto davvero importante e molto, molto ambizioso questo dei Rage. Messo sul mercato “Black in mind”, Peavy Wagner e compagni non si fermano, e si mettono al lavoro per creare, in pieno loro stile, qualcosa di assolutamente diverso, singolare ed eccezionale. E per attuare i loro propositi chiedono l’aiuto, ottenendolo, nientemeno che dell’orchestra sinfonica di Praga. Grazie a questo poderoso supplemento, i quattro tedeschi confezionano quello che a mio avviso è al giorno d’oggi il loro miglior disco in assoluto, nonchè uno degli esperimenti più riusciti di sempre nel connubio tra Heavy Metal e musica sinfonica : “Lingua Mortis”. Non trovo davvero le parole per descrivere le emozioni che provo quando le note delle canzoni mi fluiscono nelle orecchie e nel cervello, talmente mi entusiasmano. A prima vista, il disco potrebbe, a dire la verità, far storcere il naso ai più disattenti. Infatti non vi è alcuna nuova canzone, e ad essere rappresentati sono solamente 5 pezzi, tutti (o quasi, poi vedremo il perchè)tratti dal precedente Black in Mind. Basta però accendere il lettore CD per capire che ci troviamo di fronte a qualcosa di davvero unico. Le songs sono rallentate rispetto all’esecuzione originale, ma la presenza dell’orchestra produce un risultato talmente prorompente da amplificare, seppur in modo diverso, la prepotenza dei pezzi, che qui non attaccano le orecchie, ma risultano davvero Maestosi, con la M maiuscola.
Gli strumenti canonici (chitarra, basso, batteria) non si sentono molto, anzi si può dire che si sentono davvero poco (salvo in alcuni passaggi), soppiantati da violoncelli, archi, eccetera, ma questo è un dato che lascia il tempo che trova, anche perchè i loro interventi sono sempre ottimi. Al contrario la voce di Peavy Wagner è perfetta, potente ma anche mielosa quando serve, e si fonde davvero alla perfezione con tutto l’immane complesso sonoro che la accompagna.
L’album attacca subito bene, con un buon drumming che ci accompagna, suadente ma deciso, verso l’eccezionale “In a Nameless Time”. La canzone risulta notevolmente più lunga rispetto a quella già non breve presente su Black in Mind (questa versione è lunga ben 11 minuti e venti). Inutile descrivere i vari passaggi della song, basti sapere che l’atmosfera e i vari passaggi melodici che si vengono a creare fanno venire davvero la pelle d’oca. Più o meno lo stesso discorso si può fare per la seguente “Alive but Dead”, 6 minuti di tonante e superiore, anche se controllata, oscurità. Arriviamo così a “Medley”. Come ho già detto, Lingua contiene tutte song che fanno parte di Black in Mind, o quasi. No, non andate a cercare, non troverete mai in nessun disco Rage una canzone che si chiama Medley. Semplicemente questo pezzo è la fusione dei migliori passaggi di canzoni storiche (e appunto, non tutte di Black in Mind) quali “Don’t Fear the Winter”, “Black in Mind”, “Firestorm”, “Sent by the Devil” e “Lost in the Ice”. Emozionanti le melodie di pianoforte rappresentati “Don’t fear…”, “Firestorm” e “Lost…”, in particolare è stupenda la seconda, che unisce il pezzo tratto da “Black..” a quello di “Sent…”. Tale tratto strumentale è lungo ben due minuti, che portano quasi alle lacrime con la carica emotiva in essi contenuta. Per il resto il “biglietto” Medley prevede una buona batteria, per quanto non utilizzatissima, e la solita, impressionante quanto fantastica, sensazione di essere soverchiati da qualcosa più grande di noi. Concludo la descrizione della song dicendo che a mio parere i 15 minuti di Medley corrispondo ai più bei momenti presenti sul disco, anche se quando sento la successiva “All this Time”, non riesco a farmi venire i dubbi su questa affermazione. Già bellissima e strapplacrime sul suo album di origine, il carisma e la bellezza di “All this Time” vengono ulteriormente amplificati da questo nuovo stile musicale e dalla ottima collaborazione di Peavy (in grandissima forma così come in tutto l’album) e di tutti gli strumenti tipicamente rock, che stavolta fanno davvero la differenza.
Di devastante impatto il refrain, che rende davvero impotenti gli ascoltatori. Siamo quasi alla fine, rimane solo il tempo di rendere un grande tributo a quelli che sono stati i veri protagonisti lungo tutta questa produzione, ovvero i ragazzi della sinfonica di Praga, che chiudono l’album deliziandoci con una superba, per quanto ben riuscita, versione strumentale di “Alive but Dead”. E quindi, con un applauso a Peavy Wagner, all’orchestra e a tutti i Rage, chiudo questa recensione.

Scusate se l’ho fatta un pò in maniera differente dalle mie altre, probabilmente molto peggio, ma in questo caso chiedo venia, perchè davvero non riesco a descrivere con poche parole una vera e propria opera d’arte, così fuori dagli schemi tra l’altro, una delle più riuscite, se non la migliore in assoluto, delle fusioni tra due pilastri assoluti della musica, e solo questo basterebbe per rimanere nella storia.

Musica sinfonica + Heavy Metal = Lingua Mortis.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :
1) In a Nameless Time
2) Alive but Dead
3) Medley
4) All this Time
5) Alive but Dead (instrumental version)

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