Recensione: Lion’s Den

Di Francesco Sgrò - 19 Ottobre 2013 - 0:05
Lion’s Den
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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78

Proveniente da diverse parti del mondo, il combo dei King’s Call mette a segno quest’anno il terzo capitolo della propria carriera, intitolato “Lion’s Den”.
Tra le fila della band, emerge indubbiamente il nome del vocalist britannico Mike Freeland, noto soprattutto per il lavoro svolto con gli storici Praying Mantis.
Coadiuvati da figure illustri come il produttore Chris Tsangarides, che aveva già curato la produzione dell’album precedente della band (intitolato “Destiny”) e conosciuto soprattutto per aver lavorato con grandi artisti quali Gary Moore, Yngwie Malmsteen, Judas Priest e Thin Lizzy, i nostri affidano il missaggio del lavoro a Dennis Ward, produttore nonché bassista e fondatore dei Pink Cream 69.
La qualità del lavoro offerto da questo prestigioso team, emerge dunque in un album solido, di notevole fattura ed infine arricchito da un ottimo artwork, degno dei migliori White Lion.

Partenza al fulmicotone per il combo internazionale che spezza le catene con la granitica “Mother Nature”, sorretta dallo splendido lavoro chitarristico del bravo Alex Garoufalidis (fondatore e principale compositore della band), abile nell’incastonare una serie di ottimi riff, sorretti da una sezione ritmica affilata e amalgamati alla perfezione dall’alcolica voce dello storico singer, in grado di valorizzare al meglio le potenzialità di un platter piuttosto ben realizzato.
Il gruppo sembra aver fermato le lancette del tempo nei gloriosi anni ’80 con le note della trascinante “Riding The Storm”, episodio in cui il combo mostra nuovamente tutta la propria devozione nei confronti dell’Hard Rock più ruvido e sanguigno, avvalendosi nuovamente di un devastante muro sonoro allestito dalla sei corde del chitarrista greco, su cui si staglia ancora la voce del singer, che accompagna l’ascoltatore al cospetto di un refrain crudo ed efficace.

La massiccia “Dig It”, conferma quanto di buono proposto finora dalla band, intenzionata a divertirsi e far divertire a colpi di un Hard Rock stradaiolo e melodico.
I ritmi si alzano ulteriormente sulle note della bella “Shy Love”, nella quale il gruppo non rinuncia ad una elevata dose di melodia, confezionando un chorus irresistibile, portato al trionfo dall’ancora ottimo operato svolto dal bravissimo Mike Freeland.
Stessa sorte anche per “Is This The Life”, traccia che mostra il lato più crepuscolare del quartetto:  le idee fluiscono copiose, continuando a viaggiare su alti livelli anche nella piacevole “Avalon”, il cui refrain difficilmente non riuscirà a catturare l’attenzione degli amanti del genere.
Successivamente le atmosfere si fanno più morbide e rilassate nella soffusa “Red Lights”, probabilmente il vero capolavoro dell’intero album, in grado di trasportare l’ascoltatore in un universo psichedelico, arricchito ancora dalla sei corde del chitarrista greco.

Una sferzata di energia arriva travolgere tutto con la divertente “Get Up”, la quale fa il paio con la splendida rasoiata di “Holy Ground”, mentre ottime atmosfere, ancora psichedeliche, tornano con successo nella breve e strumentale “Avalon Rising”.
Le ultime battute dell’opera sono scandite dalle melodie della piacevole “Wainting For You” e della sublime “Love Will Find A Way”, entrambe incluse nell’album come Bonus Track per regalare al pubblico quasi un’ora di buona musica.

Ottimo lavoro, insomma. Il classico disco cui non manca proprio nulla per guadagnare un posto di riguardo tra gli ascolti degli appassionati di suoni made in eighties.

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