Recensione: Lionheart

Di Luca Montini - 3 Dicembre 2017 - 22:30
Lionheart
Band: Serenity
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2017
Nazione:
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70

He that does good, having the unlimited power to do evil, deserves praise not only for the good which he performs, but for the evil which he forbears.
The Black Knight (Richard I), Ivanhoe, Walter Scott
 

Agli impavidi Serenity di Georg Neuhauser va indubbiamente riconosciuto il coraggio di affrontare, disco dopo disco, le vicissitudini dei grandi personaggi della nostra storia. Coraggio, certo, perché è ben più facile per l’artista in cerca di un messaggio da veicolare nelle liriche parlare di emozioni astratte e comuni ad ogni essere umano, di epopee fantasy inventate al momento o di inguaribili passioni amorose. Ma chi si addentra nella selva ne accetta anche le regole ed i pericoli. Nati agli inizi del terzo millennio, in un crocevia non troppo originale di power metal melodico sorretto da un importante impianto orchestrale e sinfonico, gli austriaci hanno saputo ritagliarsi negli ultimi dieci anni uno spazio di riguardo. Il nuovo lavoro, il quarto nella carriera dei Serenity, esce dopo il mezzo passo falso di “Codex Atlanticus” (2016) dedicato a Leonardo Da Vinci, al quale la band prova a dare rapidamente un seguito. Dal genio assoluto di Leonardo, un salto all’indietro di tre secoli fino alle incredibili vicende di Riccardo I d’Inghilterra, noto anche come Riccardo Cuor di Leone (Richard I the Lionheart). Tra leggenda e mito, la sua figura è stata ripresa nella storia come quella di un eroe virtuoso e senza macchia, paladino della vera fede: ai tempi della terza crociata non riuscì mai a prendere Gerusalemme, ben difesa da Saladino, ma nel viaggio conquistò Cipro e sottrasse alla dominazione degli Ayyubidi San Giovanni d’Acri. Rientrerà in patria spodestato da Giovanni Senza Terra (quello che fu costretto a firmare Magna Charta Libertatum), diventando poi protagonista delle storie su Robin Hood; figura centrale anche in Ivanhoe (1819) di Walter Scott dove si presenta al torneo come cavaliere errante.

Il metal melodico dei Serenity indossa dunque l’armatura del Re Crociato e sembra finalmente di nuovo a suo agio. Le liriche rischiano di cadere talvolta nel semplicistico con le solite rime ed espressioni “senza macchia e senza paura”, senza scendere troppo nei meandri storici della figura del protagonista ed esaltandone solo la componente eroica, ma del resto le grida di battaglia si attagliano perfettamente al contesto power metal. Le melodie centrate su chorus esaltanti infatti non falliscono l’obiettivo e colpiscono il bersaglio come un dardo ben scoccato, più o meno come quello che segnò la morte del Re. Ce ne accorgiamo già dal primo brano, “United” (chi ha detto Grave Digger?), anticipato dal climax solenne di “Deus Lo Vult”; ma anche dai cori di “Rising High” che ci accompagnano nella crociata contro l’infedele. Solo discreto invece il singolo “Lionheart”, che tra strofa e ritornello sembra non decollare mai. La doppia cassa si risveglia quando è il momento di correre all’assedio, come nel chorus della già citata titletrack o nell’attacco dell’esaltante “Eternal Victory”, che ricorda da vicino i Rhapsody. Ben dosati i solos di Christian Hermsdörfer (recentemente in forze anche ai Beyond the Black), sempre apprezzabili le linee di basso ed i backing di Fabio D’Amore.
Altro marchio di fabbrica degli austriaci: i duetti di Georg con voci femminili. Intrigante e decisamente riuscita la ballata a metà disco, “Heaven”, con Katja Moslehner a dialogare con il frontman, mentre spetta alla dolcissima voce dell’italiana Federica Lanna (Sleeping Romance, recentemente usciti con “Alba” sempre per Napalm Records) accompagnare il Re d’Inghilterra verso il termine della sua ultima crociata, nel brano di chiusura in “The Final Crusade” che ci porta in dono l’eredità di una grande storia.

I Serenity si risvegliano dal torpore del disco precedente e ci consegnano un lavoro più convincente, anche grazie ad un’ottima produzione che conferisce maestosità ed epicità ai brani, costruiti su melodie semplici ma d’impatto. Ci sono alcuni filler e qualche passaggio meno riuscito, e probabilmente il contesto storico poteva essere maggiormente approfondito (è difficile, lo sappiamo), ma in definitiva l’ascolto di “Lionheart” è molto piacevole. Come Riccardo I non raggiunse mai l’ambita Gerusalemme, anche ai Serenity manca ancora un grande assedio per compiere l’impresa finale. Forza ragazzi… Deus lo vult!
 

Luca “Montsteen” Montini

 

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