Recensione: Lords of the Permafrost

Di Giuseppe Casafina - 6 Aprile 2019 - 10:00
Lords of the Permafrost
Band: Usurper
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2019
Nazione:
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75

Il Mondo va avanti: certamente, va avanti in peggio e su questo credo che ormai non vi sia alcun dubbio.

Però, aldilà di tutto, un cambiamento nella natura del Mondo vi è comunque: il clima sta impazzendo grazie alla gente, la gente sta impazzendo grazie all’ennesimo populista di turno…insomma, sebbene si conferma che il tutto vada sempre verso il peggio, una certa evoluzione (del Male, quello vero, quello umano) è tangibile.

Gli Usurper no. E per rendersene conto basta guardarli lì, in alto, nell’immagine di copertina: sì, sono proprio quei tipi lì. Loro sono, come recita il titolo del disco, i Signori incontrastati del Permafrost, nel senso che non è bastato uno scioglimento momentaneo (oggi 3/4 della formazione – di cui 2 su 3 componenti fondatori – , sono quelli dell’era pre-scioglimento con il solo bassista, tale Scott Maelstrom, a rivestire il ruolo del nuovo tra i ranghi) a far cambiare loro idea circa il fatto che gli anni’80 sono ormai inesorabilmente finiti da 30 anni ormai. No, a loro piace perseverare e ci credono pure moltissimo: per farla breve, gli Usurper appartengono a quella stirpe di metallari orgogliosi di girare con le borchie ricucite nei luoghi più impensabili  (fantasia portami via…), quella tipologia di gente bruttissima a cui piace tuttora causare disagio in pubblico con espressioni facciali aberranti, sputando bestemmie e recitando birra…no aspè, forse era il contrario, però ci siamo capiti. Almeno questo è quello che l’immaginario a noi fornito ci lascia pensare, immaginario che inevitabilmente si rigetta sulla musica da loro proposta.

Musica che è, inevitabilmente, cruda e figlia delle più primordiali lezioni impartite dai Sacri Maestri che, nel decennio d’oro del Vero Metallo fino al Midollo (cit.), schitarravano come pazzi mentre, a suon di palm muting, cercavan di dimostrare a tutti i repressi dell’epoca come fosse ganzo costruirsi una immagine da True tra i Truci (altra citazione…) per nascondere l’inevitabile fatto che anche loro si masturbassero come tutti! ( – perché, alla fine si sa, in quel decennio le groupie, quelle vere, se le potevano permettere solo i Kiss e i Mötley Crue – Nda) Insomma, battute di scarsa qualità a parte, per far capire l’antifona: ci troviamo di fronte agli ennesimi figlioli bastardi dei Celtic Frost e del Thrash/Death primordiale dei tempi che furono.

E appunto, rendendomi conto di come ciò potrebbe già bastare a molti nel convincerli a cambiare pagina, in realtà vi sprono a cercare di restare sintonizzati su questo disco, soprattutto se siete seriamente dei veri appassionati della vecchia scuola quale è il sottoscritto.

Oggi come da sempre infatti, gli Usurper dalla loro hanno qualcosa in più: oltre a qualche borchia di troppo infatti, “Lords of the Permafrost” si propone, sin dalla iniziale ‘Skull Splitter’, brano che si aggiudica sin da subito la palma di miglior titolo ad hoc per il ritorno sulle scene di qualsiasi band cattivona (oltre che adattarsi perfettamente alle tematiche da sempre care alla band statunitense, da intendersi), come un riuscitissimo condensato di riff Thrash a velocità variabile uniti a liriche da Guerriero Borchiato™ e una sana attitudine da Deathsters cazzone & scorreggione, il che li candida sin da subito come band ideale per tutti i metallari amanti della più grezza e brutale sincerità, quel pensiero musicale a cui senti ancora il bisogno di alzare il tutto di un semitono per dare un effetto di malsana cattiveria a quel che suoni (questa la capiranno solo i musicisti a tutto tondo forse, ma è la verità). La produzione è il vero fiore all’occhiello di “Lords of the Permafrost”: cruda, con chitarre davvero ‘grattuggiose’ ed impastate, una batteria naturalissima che sin dal primo colpo urla al Mondo la sua totale allergia ai trigger e qualsivoglia forma di aberrazione digitale, con la voce ormai caratteristica di Rick Scythe pronta ad erigersi imponente su cotanta bellezza ispirata dalla vecchia scuola.

Il songwriting è spaccaossa, quadrato (non aspettatevi variazioni progressive, sia chiaro) e i riff, anche se sulle prime potrebbero apparire forse troppo semplici, sono come da loro tradizione incazzati al giusto: una delle caratteristiche da ha da sempre reso gli Usurper una formazione di nicchia è appunto la necessità di essere ascoltati come un tutt’uno, come un vero tributo all’attitudine che fu. Non tutti possono capirli, ma quei pochi in grado di farlo li adorano, non a torto. Il timbro di fabbrica della band è riconoscibilissimo, partendo dai già citati riff quadratissimi fino ai leads di chitarra, sempre figli di un certo modo di fare le cose ormai dimenticato, nonché epici alla pari di una scorazzata di guerrieri barbari che cerca di fotterti il cotechino la notte di Capodanno nella più rude delle maniere, lasciandoti tra le mani solo le lenticchie.

I brani, rispetto al passato (soprattutto rispetto al precedente “Cryptobeast” che ricordo effettivamente come un po’ troppo monocorde da questo punto di vista), appaiono maggiormente variegati tra loro e, nella parte finale, addirittura presentano soluzioni in grado di trasudare una maggiore epicità di fondo. Epicità rigorosamente in stile Usurper da intendersi, che nella conclusiva ‘Mutants of the Iron Age’ raggiunge picchi di bestiale intensità (i veri puzzoni non potranno che commuoversi…) e risultando senza indugi il brano meglio riuscito del lotto.

Non che gli altri brani siano da meno: l’intero disco si rivela essere un’opera compatta e completa, autentico manifesto del pensiero Usurper.

Per quanto mi riguiarda, personalissima opinione, abbiamo a che fare con il più sorprendente comeback del 2019 e nel farmi pensare ciò, ci si mette di mezzo in primis proprio quella totale mancanza di novità rispetto a quanto ci fu stato lasciato a suo tempo: si è solo ripartiti da quanto lasciato in ballo, migliorando ed imbastardendo ulteriormente il tutto, segno di una sana e sincera devozione verso i fan di questa musica ma soprattutto se stessi.

In parole povere, un ritorno sensato e graditissimo: il Regno del Metal ha anche e soprattutto bisogno di gente come loro.

Bentornati ragazzi, chi vi ama continuerà a farlo. Chi vi odia invece, finirà sotto la perfida scure di qualche fan della band…inevitabilmente!

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