Recensione: Made in England

Di Filippo Benedetto - 22 Agosto 2004 - 0:00
Made in England
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Anno: 1972
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85

Tra gli albums degni di nota degli Atomic Rooster credo non si possa non citare “Made in England”. Questo lavoro, complesso sotto il profilo compositivo e brillante per quanto concerne l’mbito prettamente tecnico strumentale, mostra una band cimentarsi in lunghe e articolate composizioni dove non manca una certa cura a livello di arrangiamento. Il risultato è un platter emozionante e trascinante dall’inizio alla fine del suo ascolto. Andiamo, dunque, ad analizzare nel dettaglio “Made in England”, cominciando proprio dalla sua copertina: in essa non è ritratto nulla se non un semplice quanto enigmatico sfondo blu facilmente associabile a quello tradizionale di un paio di “jeans” (… camicia o pantaloni, scegliete voi l’associazione mentale).

La track d’apertura, “Time take my life”, viene introdotta da un morbido “giro” per hammond, che costituirà di seguito la struttura base del pezzo. Ad impreziosire il tutto contribuisce un tappeto violinistico pregevole che dona eleganza al fraseggio. Le partiture ritmiche sono cadenzate ma efficaci, soprattutto all’irrompere delle chitarre elettriche e di una vigorosa sezione fiati. Il groove del brano è trascinante, acquistando particolare “pathos” quando si inserisce lungo le linee portanti della song un bell’assolo per hammond. Come nei lavori precedenti l’attitudine compositiva è rimasta a livelli considerevoli, regalando ancora una volta all’ascoltatore musica diretta, dinamica… in una parola incisiva nella sua semplicità.  La seguente “Stand by me” fa risaltare l’anima funky del gruppo, in un tripudio di riffs vivaci, di un drumming pieno di brio, di vocals calde e coinvolgenti e soprattutto di una sezione fiati potente e corposa. La “freschezza” del pezzo nel suo insieme, denotabile specialmente nel bel refrain, eleva la traccia in questione tra le migliori del lotto sicuramente. “Little bit of Inner Air”, è una song decisamente particolare. Sicuramente “atipico” è il fraseggio pianistico che irrompe subito dopo la cadenzata introduzione per batteria. Ciò non toglie nulla alla bellezza del brano, che acquista particolare fascino all’irrompere di un bell’assolo pieno di lirismo. La song è di breve durata, ma in essa il combo riesce a mantenere vigile l’attenzione dell’ascoltatore con accorgimenti in sede d’arrangiamento ed infine di esecuzione tecnico-strumentale degni di nota. L’immediatamente successiva “Don’t know what went wrong” (simpatico gioco di parole), sposta decisamente l’oggetto degli sforzi del gruppo, che qui attenua la vena “sperimentale” del precedente pezzo per focalizzare l’attenzione su un interessante mix di funky rock, con lieve intercalare blues, dove spicca soprattutto un buon lavoro pianistico.
“Never To lose” si distingue per un tappeto acustico davvero elegante, al quale segue un lavoro “corale” del resto degli strumenti, tra i quali spiccano soprattutto le chitarre elettriche che costruiscono “intrecci” melodici di sicuro effetto. L’incedere sofferto del brano, proprio del tema fondamentale del brano, lascia trasparire un “che” di psichedelico che non guasta affatto.
“Introduction/Breathless” è un’altra song che, insieme a “Stand by me”, merita più di una nota di apprezzamento. L’avvicendarsi delle ritmiche funky di “Introduction” e del (quasi, sottolineo) progressive-rock di “Breathless” danno luogo ad una composizione davvero degna di essere annoverata tra le più interessanti della produzione del combo. Ciò che rende interessante questa song è la miscela originale delle più svariate influenze: hard rock, funky e, come già detto, progressive rock (badare bene, non in maniera eclatante). Il risultato è dinamismo, semplicità a livello di esecuzione e una notevole dose di originalità nell’articolare le varie “fasi” della song.
Proseguendo ci si imbatte in “Space cowboy”, brano dall’incedere potente e vigoroso, dove un drumming incisivo e un riffing energico si distinguono particolarmente. Degne di nota sono le vocals, che qui sono più “vibranti” che mai. Certo, la canzone non subisce particolari variazioni di “tema” al suo interno… ma il modo in cui la band pone gli “accenti”, dispone le “sfumature” non manca di deliziare l’ascoltatore.
“People you can’t trust” viene introdotta da un hammond leggermente distorto, al quale si sovrappongono vocals ben impostate. Sembra che questa song segua l’immaginario sentiero musicale tracciato con la precedente song non lesinando particolare cura negli arrangiamenti e mostrando una più accentuata attenzione per “cambi d’umore” lungo il tema fondamentale del brano. In coda all’album “All in Satan’s name” mostra un lavoro in sede ritmica potente, incisivo e originale in sede tecnica. Molto incisivo risulta il riffing chitarristico che alterna, insieme all’hammond, parti di più diretto impatto a momenti più rilassati, disgelando proprio in questi ultimi tutta la grazia compositiva del combo. Ecco, forse è in questi frangenti che si riconosce maggiormente l’importanza degli Atomic Rooster tra le bands meno menzionate nel panorama hard rock (e progressive) degli anni settanta. In chiusura di canzone la band si lancia in una esecuzione del tema centrale piena di vigore, accentuata nella sua carica “futuristica” dall’ausilio dissonante di sintetizzatori. Chiude in bellezza l’album “Close your eyes”, brano carico di vitalità dove l’eleganza del pianoforte viene pregevolmente sostenuto da una sezione ritmica dinamica ed efficace.

Non smetterò di ripetermi e di ripetere ai lettori l’importanza che un certo modo di suonare, di comporre hard rock (classic rock) ha avuto negli avvenire, dagli anni settanta in poi… Sentire gli Atomic Rooster ne può risultare una facile quanto elementare verifica di questo assunto. “Made in England”, concludendo, è un gran bel disco, che consiglio a tutti gli hard rockers (e non solo) amanti di sonorità originali nell’impostazione compositiva ed esecutiva.

Nota aggiuntiva: è in commercio un’edizione remasterizzata di questo (come di altri) lavoro del gruppo comprendente quattro bonus tracks e in più quattro songs estratte dagli archivi della BBC (live in Paris Theater, 22/7/1972).

Tracklist:

1. Time Take My Life
2. Stand By Me
3. Little Bit Of Inner Air
4. Don’t Know What Went Wrong
5. Never To Lose
6. Introduction / Breathless
7. Space Cowboy
8. People You Can’t Trust
9. All In Satan’s Name
10. Close Your Eyes

Line Up:
Vincent Crane – Hammond Organ/Piano/Electric Pianos/A.R.P. Synthesiser.
Chris Farlowe – Vocals.
Steve Bolton – Electric Guitars/12-String Guitar.
Ric Parnell – Drums/Congas/Timbales and additional percussion/Vocals On “Inner Air”.

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