Recensione: Mammal

Di Damiano Fiamin - 15 Luglio 2011 - 0:00
Mammal
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
68

Sono già passati due anni dalla pubblicazione di White Tomb, ottimo album di esordio degli irlandesi Altar of Plagues; il CD era caratterizzato da un’interessante sperimentazione in campo black metal, con ricche venature sludge e decise virate verso la musica d’ambiente. Vista l’ottima accoglienza che era stata riservata al terzetto di Cork, eravamo ansiosi di conoscerne l’evoluzione musicale; a prima vista, Mammal si accosta senza troppe remore al suo predecessore: la copertina è inquietante, un’allucinante foto sfocatissima che porta alla memoria le immagini dei presunti spettri immortalati da tanti occultisti alla fine del XIX° secolo. Come a voler proseguire idealmente il buio sentiero che era stato abbozzato durante il primo disco, anche in questo caso ci sono solo quattro lunghe tracce a comporre la struttura ossea dell’album.

L’introduzione di Neptune Is Dead è palpitante, si allunga cupa e vischiosa prima di trovare sfogo in un’esplosione di batteria che scaccia via ogni timore; la voce di James Kelly raschia in brevi motteggi agonizzanti e dolorosi, mantenendo un’impressione di scuro scoramento e rendendo manifesto che non sarà facile affrontare l’ascolto dell’album; non aspettatevi sonorità immediate o solari, stendetevi in penombra ed assaporate il gusto dell’oscurità. Il brano è caratterizzato da ritmi ossessivi e pesanti che solo occasionalmente si addolciscono e scivolano in un’atmosfera più rarefatta, quasi onirica, dove il basso e la chitarra regnano incontrastati. Quasi a voler creare una struttura coerente, i motteggi strumentali vengono ripresi più volte nel corso del pezzo, argini di contenimento contro una deriva negli spazi siderali creati dall’ascolto del brano; come se fosse suddiviso idealmente in due parti, il pezzo termina con un lungo momento di musica evanescente e d’atmosfera, ponte nebbioso verso Feather And Bone.
Il lento accordo che apre la seconda traccia continua a ripetersi anche quando viene sovrastato dalla batteria, in una strana contrapposizione alchemica che ha come frutto una violenta ed improvvisa detonazione sonora. Esaurito questo momento di impeto musicale, si sprofonda nuovamente in un abisso scuro, in cui la musica lentamente ci attanaglia, ci blocca e si insinua in tutti i nostri pori. L’alternanza tra momenti più ritmati ed altri più persistenti è la chiave di volta per comprendere quest’album che fa di suddetta contrapposizione la sua struttura fondativa.
When The Sun Drowns In The Ocean è il brano più strano di tutto l’album: vocalizzi che potrebbero portare alla mente lontani lamenti di prediche o canti sciamanici di oscure tribù ci accompagnano in un amalgama di note sporadiche, distorte e dissonanti, un vero e proprio viaggio iniziatico di cui la destinazione è sconosciuta. Un brano allucinante ed implacabile, disorienta l’ascoltatore che cerca di aggrapparsi alle voci in lontananza per non perdere la strada; speranza vana, anch’esse si distorcono e si confondono con il rumore di fondo, non c’è via di fuga. All Life Converges To Some Center è un brano abbastanza canonico, caratterizzato da sonorità pesanti che si invischiano in momenti di lenta agonia prima di ritornare a sfavillare in epici crescendo e riff di maestosa ed imperiosa ineffabilità. Forse la sua collocazione lo fa risultare meno interessante di quanto sia in realtà ma, purtroppo, è difficile accontentarsi di un pezzo normale dopo il delirante ascolto precedente.

Alla fine, gli Altar of Plagues sono riusciti a realizzare un buon album o no? Il secondo capitolo della loro discografia si indirizza verso un territorio differente rispetto a White Tomb. La composizione si allontana molto spesso da quelle sonorità più tipicamente black o doom che avevano caratterizzato il disco d’esordio, tenendo piuttosto ad una sublimazione in una musica più rarefatta e d’atmosfera, in cui viene abbandonata la potenza grezza in favore di un approccio introspettivo e misterioso. Mammal è un album interessante sebbene meno convincente del suo predecessore dal punto di vista dell’innovazione e della creatività. Ci sono dei momenti in cui i pezzi indugiano eccessivamente nell’ossessiva ripetizione dei suoni. Se non vi disturba, meglio così, altrimenti non potete che sperare che nella loro terza prova gli irlandesi prendano ancora un’altra strada o decidano di tornare sui propri passi. Le potenzialità per fare buona musica ci sono tutte, speriamo che questi ragazzi si diano da fare!

Damiano “kewlar” Fiamin

Discutine sul forum, nel topic relativo!

Tracklist:

  1. Neptune Is Dead
  2. Feather And Bone
  3. When The Sun Drowns In The Ocean
  4. All Life Converges To Some Center

Formazione:

  • James Kelly: Chitarra, tastiere, voce
  • Dave Condon: Basso, voce
  • Johnny King: Batteria

Ultimi album di Altar Of Plagues

Genere:
Anno: 2011
68