Recensione: Manifested Darkness

Di Vittorio Sabelli - 23 Maggio 2013 - 18:51
Manifested Darkness
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
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60

 

Due dischi in due anni di vita!

Complimenti al duo tedesco Revel In Flesh che riesce, a distanza di un solo anno, a dare il seguito all’interessante “Deathevokation”, incentrato su un revival dello storico swedish death metal con tanto di elementi personali che rendevano l’ascolto fruibile e non scontato. Sulle ali dell’entusiasmo i Nostri hanno preso la mano e in dodici mesi si sono rimessi a provare, scrivere e registrare, proponendoci il seguito in tempo record.

L’interessante artwork lascia buone speranze per “Manifested Darkness” ma, purtroppo, queste restano tali al primo ascolto. Se echi ‘vicini’ di Entombed, Dismember, e chi più ne ha più ne metta sono apprezzabili nel loro primo disco, non sobbalzate dalla sedia, il nuovo platter ne è la fotocopia, ma con poca fantasia e molta ridondanza.

Intanto non alziamo le antenne vedendo nella track-list titoli quali “Warmaster” e “Revel In Flesh”, poiché non sono cover di Bolt Thrower ed Entombed, ma semplicemente ne ripropongono il titolo. Peccato! Probabilmente avrebbero reso l’ascolto più diretto e intrigante, perché non credo sia possibile proporre brani oltretutto lunghi (tre dei nove sopra i sei minuti) con pochissimo materiale insito, che sono duri tanto da digerire quanto da ingoiare.

I Revel In Flesh non sono dei dilettanti, entrambi si difendono dietro ogni sorta di strumento e microfono, ma il riffing ‘all’Entombed’ (ma scontato) e le ritmiche, che non cavalcano oltre i mid-tempo, non sono arricchiti da elementi che possano attirare l’attenzione. Il songwriting risulta altresì debole, scontato e poco incisivo. La voce di Haubersson è senz’altro il punto di forza della band, con una timbrica accattivante e una buona tecnica vocale, ma purtroppo viene risucchiata dalla monotonia che regna sotto di lei. Il risultato è un disco che stanca: dopo qualche minuto ci ritroviamo a faccia a faccia con la vecchia scuola nordeuropea, ma bastano pochi brani per renderci conto che il tempo scorre in maniera superficiale.

I Revel In Flesh devono prendersi qualche tempo di pausa prima di riproporsi con un full-length, per cercare di ritrovare la strada iniziata lo scorso anno con “Deathevokation”, sperando che questo passaggio a vuoto sia utile per una crescita futura.
 
Vittorio “vs” Sabelli
 

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