Recensione: Manthe

Di Emanuele Calderone - 6 Aprile 2014 - 14:29
Manthe
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2014
Nazione:
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76


Se fino a qualche decennio fa il panorama metal italiano era famoso all’estero quasi esclusivamente per i numerosi gruppi power, oggi sono molte le realtà estreme che sono riuscite a superare, con successo, i limiti nazionali.
 
La scena black nostrana, con gli anni, ha visto la nascita di un buon numero di band di grande spessore, che hanno riacceso l’interesse internazionale nei confronti del Bel Paese; e tra le realtà più giovani che hanno dimostrato maggiore dedizione alla causa black metal figurano i Deadly Carnage, gruppo nato in Emilia, attivo sin dal 2005.
 
Nonostante la giovane età, il combo può già vantare una discografia abbastanza nutrita, composta da un demo, un ep, uno split-album e tre full-length. ‘Manthe’, l’ultimo dei tre, arriva sui mercati in 2014, dopo un silenzio durato più di due anni. Nonostante il panorama black metal sia saturo ora come non mai, i Nostri riescono a catturare l’attenzione dell’ascoltatore con apparente facilità, grazie a una piena consapevolezza dei propri mezzi e ad una maturità già ampiamente raggiunta.
 
‘Manthe’ prosegue bene o male il percorso già intrapreso con il bel ‘Sentieri II – Ceneri’: ciò significa che, anche in questo caso, il black metal più feroce convive in perfetta armonia con passaggi più dilatati e atmosferici, evidentemente debitori al doom metal d’annata, il tutto condito da qualche sprazzo di post-rock che emerge qua e là. Il risultato, sebbene non brilli propriamente per originalità – spesso e volentieri si posso scorgere richiami a band quali Lantlos e simili -, difficilmente potrà lasciare impassibili anche i blackster più incalliti. Questo avviene anche grazie ad un songwriting decisamente solido e ad una preparazione tecnica di prim’ordine: ciascun musicista riesce infatti a dare il proprio, decisivo, contributo in ognuna delle sette canzoni qui contenute. Canzoni che, neanche a dirlo, riescono ad appassionare fin dal primissimo ascolto.
 
I sette episodi scorrono all’ascolto con una gradevolezza quasi inaspettata, grazie a linee melodiche appassionanti e, non meno importante, ad uno sviluppo tutt’altro che scontato: ne sono esempi lampanti l’opener ‘Drowned Hope’, con la sua lunghissima introduzione atmosferica, alla quale fa seguito una vera e propria esplosione dal sapore black/doom, piuttosto che la seguente ‘Dome of the Warders’, di sicuro la migliore del lotto. Il brano si avvicina molto di più a certi stilemi che vanno di moda oggi, richiamando alla mente il lavoro di Alcest e dei già citati Lantlos, rielaborando però il tutto con grande personalità.
 
Last but not least, tra le tracce più meritevoli di essere citate figura la conclusiva ‘Manthe’, lunga suite di oltre 14 minuti che, sfruttando la propria durata, riesce ad alternare in maniera vincente momenti di grande tensione emotiva, ad altri più pacati. I ragazzi, proprio in questa sede, danno sfogo a tutta la loro preparazione tecnica, lanciandosi volentieri in brevi sessioni strumentali dal vaghissimo sapore jazz. Nonostante non ci si soffermi, anche i restanti episodi, rispondenti, nell’ordine, ai nomi di ‘Carved in Dust’, ‘Beneath Forsaken Skies’, ‘Il ciclo della forgia’ ed ‘Electric Food’ mantengono alto il livello qualitativo generale, confermando quanto di buono detto fino ad ora.
 
Volendo aggiungere qualche parola in più sugli aspetti extramusicali, questo ‘Manthe’ può godere di un’ottima qualità sonora e di una produzione di buon livello. Sugli stessi standard si attesta anche la copertina, gradevole e che ben si sposa con la musica qui contenuta.
 
Null’altro da aggiungere dunque. I Deadly Carnage, anche in questa sede, sono riusciti a centrare in pieno l’obiettivo: ‘Manthe’ è uno di quei dischi che, senza cambiare le sorti dell’umanità, riuscirà a rendere contenti sia coloro avvezzi a sonorità violente e fredde, sia coloro i quali sono alla ricerca di un qualcosa di più raffinato ed elegante. Bravi.

Emanuele Calderone

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