Recensione: Manticore and Other Horrors

Di Alessandro Calvi - 30 Ottobre 2012 - 0:00
Manticore and Other Horrors
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Anno: 2012
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60

I Cradle of Filth son sempre stati un gruppo particolarmente prolifico, basti pensare ai primi anni della loro carriera, quando, di anno in anno, alternavano un full-length e un EP (tra l’altro di livello qualitativo generalmente medio-alto). Negli ultimi tempi, però, sembra che si siano dati veramente da fare se consideriamo che negli ultimi 3 anni han dato alle stampe “Darkly, Darkly Venus Aversa” (full-length), “Evermore Darkly…” (EP + DVD), “Midnight in the Labyrinth” (full-length, anche se di vecchi pezzi della band) e questo “The Manticore and Other Horrors” (full-length). Una produzione sovrabbondante che, naturalmente, porta sempre con sé qualche dubbio sulla capacità di Dani e soci di mantenere alta la qualità della proposta, soprattutto dopo due esempi lampanti come “Evermore Darkly…” e “Midnight in the Labyrinth”: unanimemente bocciati sia dai fan che dai critici.

Cosa ci si aspettava, dunque, da questo “The Manticore and Other Horrors” ? Naturalmente la risposta varia a seconda dell’interlocutore, ma, in generale, possiamo rintracciare alcune linee comuni. I fan, ovviamente, attendevano in maniera spasmodica una uscita di alto livello per mettere a tacere i detrattori, mentre questi ultimi speravano nell’ennesimo svilone per poter seppellire definitivamente i vampiri inglesi. La critica, d’altro canto, lette le numerose dichiarazioni di Mr. Dani Filth sui contenuti del nuovo disco, non aveva la minima idea di cosa aspettarsi. Questo perchè il menestrello di Hertford aveva praticamente promesso di tutto, dalla sinfonia al punk, dall’horror al thrash al black, fino all’elettronica e alle sperimentazioni innovative.
Giusto per sgombrare il campo dai dubbi, una cosa si può dire fin dal primo vago ascolto dell’album: del resto si può discutere, ma di certo non c’è molto di sperimentale o di innovativo in questo “The Manticore and Other Horrors”.

Al contrario si tratta di un disco che potremmo definire estremamente “canonico”, quantomento secondo gli standard dei Cradle of Filth.
L’apertura è demandata alla più classica delle intro sinfoniche a cui il gruppo del Suffolk ci ha ormai ampiamente abituati. Non che “The Unveiling of O” sia brutta, semmai l’opposto dato che si tratta di un bel pezzo sinfonico, dal sapore vagamente inquietante, come certe colonne sonore da film horror. Il vero problema è che si tratta di uno dei pochi, pochissimi, esempi di buone partiture sinfoniche presenti in questo disco, una cosa che difficilmente ci si aspetta, o si riesce ad accettare, dai Cradle of Filth.
Gli elementi sinfonici, infatti, pur essendo presenti lungo tutta la durata della tracklist, ricoprono sempre un ruolo secondario, quasi marginale, di mero riempimento. Inoltre, proprio per questo, non riescono mai a uscire allo scoperto, a farsi notare, risultando generalmente piatti e anonimi, come frutto di una composizione svogliata o a corto d’idee.
Un fatto, questo, che per questa band equivale a un peccato mortale (anche se bisogna ammettere che un’avvisaglia ci era già stata data dalla totale assenza di mordente nelle orchestrazioni di “Midnight in the Labyrinth”).
Passata l’intro strumentale, è la volta di “The Abhorrent” presentarsi come prima vera canzone dell’album. E, come si diceva in apertura d’analisi, ci troviamo di fronte a qualcosa di canonico. Il brano, come buona parte delle tracce, non brilla per originalità, ma non riesce neanche a mordere le orecchie degli ascoltatori come dovrebbe, pur trattandosi di un pezzo violento. Un pelo meglio, sotto il profilo della sperimentazione e dell’aggressività, la successiva “For Your Vulgar Delectation”, song che prende a piene mani dal thrash più ritmato, pur risultando apprezzabile solo nel contesto di questo CD, come brano a se stante, infatti, lascerebbe abbastanza a desiderare.
Il resto del disco si mantiene sulle facili e ormai ben conosciute coordinate del già fatto e già sentito. In realtà è proprio dove questi elementi sembrano andare per la maggiore, cioè quando Dani e soci vanno a scrivere canzoni che sembrano scopiazzare il periodo più classico del gruppo, che la tracklist sfoggia i suoi momenti migliori. “Frost On Her Pillow”, con tutti i distinguo del caso, ci ridona un po’ delle atmosfere di “Cruelty and the Beast”, eppure basta solo qualche eco di un tempo ormai lontano per far tirare una bella boccata d’aria, lo stesso dicasi di “Succumb to This”, forse il brano migliore del lotto.
Dove, invece, i Cradle of Filth provano a fare qualcosa di nuovo, cadono miseramente. La titletrack “Manticore” ne è un esempio lampante, complice in questo anche la prova vocale del mastermind della band in uno dei punti più bassi della sua carriera. Se le défaillance vocali possono essere accettabili dal vivo, a causa di una serie pressochè infinita di variabili non controllabili che rendono molto più difficile rendere al 100%, soprattutto se ci si cimenta con un cantato così particolare come quello di Dani, molto più difficile è riuscire a giustificare certi errori o cedimenti in studio. Di quel personalissimo scream che fece le fortune degli esordi dei vampiri inglesi, infatti, ormai non rimane quasi nulla. Anche in studio i passaggi alti sono pochissimi e limitati a sporadici urli, il resto sono sprazzi di growl (mai davvero convincenti, ora come in passato) e un diffuso cantato aggressivo e ringhioso piuttosto monocorde. A ravvivare un po’ il panorama ci pensa il tentativo di qualche passaggio in clean, con esiti che potremmo definire al limite dell’imbarazzante.
Meglio, dunque, rimanere nei pressi di ciò che si sa fare meglio, anche perchè, alla prova dei fatti, risulta ancora più convincente dei tentativi di fare qualcosa di nuovo. Sarà pure minestra riscaldata, ma in quello che, si spera, sia solo un momento di calo d’ispirazione, forse è meglio cercare sicuro riparo presso lidi conosciuti e amici, piuttosto che salpare l’ancora per mari inesplorati che rischino di far calare a picco tutta la nave.

Per concludere: “The Manticore and Other Horrors” è un album che non brilla. Non brilla per qualità, segno che, forse, così tante uscite così ravvicinate hanno segnato pesantemente l’ispirazione dei compositori del gruppo. Non brilla per innovazione, pur a fronte dei mirabolanti annunci che ne avevano preceduto l’uscita. Ciò che ci troviamo davanti è un disco che pesca a piene mani da quanto i Cradle of Filth ci hanno già fatto sentire e, proprio là dove prova a dire qualcosa di nuovo finisce per fare un passo falso. Per assurdo, invece, brilla (ma è un baluginio ben misero, frutto di luce riflessa), solo là dove Dani e soci sembrano fare un passo indietro in una sorta di tuffo nel passato. Segno che qualche qualità in casa dei vampiri inglese c’è ancora, ma bisognerebbe forse fare un piccolo esame di coscienza sui propri limiti. Ridurre, quindi, la quantità e la frequenza delle uscite per concentrarsi maggiormente sulla fase di songwriting e, poi, magari, ammettere con sé stessi che non c’è nulla di male a essere onesti artigiani. Se qualcosa lo si è inventato e si è bravi a farlo, riuscendo sempre a sfornare prodotti di qualità e a dare emozioni, forse bisognerebbe darsi pace e limitarsi a fare quello, senza pretendere di essere artisti capaci di svariare da un genere all’altro. Con buona pace della critica.

Tracklist:
01 The Unveiling of O
02 The Abhorrent
03 For Your Vulgar Delectation
04 Illicitus
05 Manticore
06 Frost On Her Pillow
07 Huge Onyx Wings Behind Despair
08 Pallid Reflection
09 Siding with the Titans
10 Succumb to This
11 Sinfonia

Alex “Engash-Krul” Calvi

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