Recensione: Map Of Scars

Di Nadia Giordano - 10 Giugno 2015 - 9:00
Map Of Scars
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Gli An Handful Of Dust sono una realtà alternative metal formatasi nel 2000 a Tarcento, Udine.

La musica che propongono, prende spunto da influenze stilistiche di band quali Anathema, Moonspell, Novembre, Dark Tranquillity, 

Nel 2007 esce il loro debutto “I’ll Show Your My Fear” e nel 2011, tramite la label Risingworks Records, riescono a pubblicare il loro primo album “Nu Emotional Injection”.

Dopo una pausa di circa tre anni, nell’arco del 2014, il gruppo si rimette al lavoro con una nuova line-up. Nasce così l’EP, autoprodotto, “Map Of Scars”, contenente quattro brani, tutti caratterizzati da un sound malinconico, triste ed a tratti oscuro.

Apre l’album “In The Nightdrive Shade” contraddistinta da atmosfere soffuse e velate che ci accompagneranno per tutta la durata del brano, salvo poi incrementare la parte di batteria nel refrain centrale.

Con la successiva “Our Frail Connection” viene mantenuto lo status della precedente canzone, che viene a tratti interrotto da accenni di growl, sapientemente bilanciati, che ben si fondono alla voce chiara ed a tratti dolente del singer. 

“Don’t Walk Away” riprende la formula musicale descritta nel secondo brano, ma viene arricchita, nella linea melodica, da parti più oscure e tetre.

Chiude l’EP “Intensive Care Unit“, che sposta il tiro su sonorità più incisive e ricercate, che mettono ben in luce il vero potenziale del gruppo.

Non fatevi trarre in inganno dalla dicitura “EP”, perché sebbene si tratti di sole quattro tracce, l’ascolto nella sua totalità risulta comunque complesso e non immediato. 

“Map Of Scars” non si assesta mai sulle stesse frequenze, bensì vengono espresse soluzioni sempre stimolanti, che, per forza di cose, spronano l’attenzione dell’ascoltatore, ma allo stesso tempo richiedono, dato il livello tecnico del gruppo, uno sforzo maggiore.

Sebbene la formazione sia cambiata dal precedente album del 2011, la formula vincente resta sempre la stessa. 

La voce di Mauro Forgiarini nel suo essere chiara e sostenuta, si intreccia bene al growl di Gianluca Gobbi, in modo da poter tessere una trama che riesce ad armonizzarsi all’interno della melodia, senza risultare mai stucchevole.

Analogo discorso per le chitarre di Nicolas Pezzetta e di Giovanni Valente, che si spalleggiano l’un l’altra nelle varie tracce e che cercano sempre di evolversi all’interno del tema sonoro, regalando sempre soluzioni interessanti.

Non per ultimi, il basso suonato dallo stesso Gobbi e la batteria di Christian Di Lenardo, che qui non svolgono solo un semplice completamento del sound, ma risultano essere una parte attiva e vibrante del gruppo.

Per quanto riguarda la produzione, ormai si sa che le maggiori label non sono più interessate a produrre band minori, di conseguenza molte di queste sono costrette a rifugiarsi nelle autoproduzioni con risultati di dubbio gusto. Non è il caso degli An Handful Of Dust che riescono a smentire quanto detto poc’anzi, infatti (restando sempre nell’ambito delle autoproduzioni) l’equilibrio complessivo tra voce e strumenti risulta di un livello sopra la media, regalando, al contempo, un gradevole ascolto.

Per tutti i motivi sopra descritti, sono convinta che questa band non deluderà certo i maggiori fruitori, già abituati al precedente lavoro ed avvezzi a questo tipo di gusto musicale, ma dall’altro lato risulterà un po’ ostica per i semplici curiosi, soprattutto per il fatto che tutto l’album si mantiene su una linea ricca di pathos, malinconica e triste. 

 

Nadia _Spugna_ Giordano

 

 

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