Recensione: Mastery Of The Light

Di Mauro Gelsomini - 5 Marzo 2003 - 0:00
Mastery Of The Light
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Anno: 2001
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Partiti nel 1997 come cover band che riproneva pezzi di Iron Maiden, Judas Priest, Helloween e Queensryche, i tedeschi Destination’s Calling tentano il grande salto nel 1999 con la decisione di comporre brani originali. Ovviamente il loro sound risulta pesantemente influenzato da quello degli act sopra menzionati: è palese, in particolare, la matrice power-teutonica di band come Edguy, Freedom Call e degli stessi Helloween. Quindi in molti già sapranno a cosa si va incontro ascoltando questo “Mastery Of The Light”, e mi rincresce dover dare ragione a gran parte delle attese. Il collante è quello di sempre: melodia melodia e ancora melodia, le soluzioni sono oramai più che abusate, e determinate scelte non contribuiscono di certo a forgiare individualità, anzi fanno il gravissimo danno di confondere tutti i buoni propositi delle band emergenti in un unico calderone di idee, peraltro non originali.
E’ innegabile, tuttavia, una sorta di piacere che si prova nell’ascoltare una song orecchiabile e accattivante, oltretutto ben suonata, anche se questa non si distingue per innovatività e sperimentalismo. Per tutti questi motivi l’album dei Dastination’s Calling scorre via senza troppi indugi, abbastanza piacevolmente, suggerendo qua e là di giocare a riconoscere il sound degli antenati. Ovviamente, per quanto riguarda il sottoscritto questo non è un approccio che una band dovrebbe essere orgogliosa di suscitare nell’ascoltatore, anche se non posso non applaudire l’attitudine a creare melodie decadenti e accattivanti, come pure non posso non notare la preparazione tecnica dei membri della band, a cominciare dalla bella timbrica di Christian Grater, struggente nella ballata corale “Remember The Past”. Buono l’affiatamento tra le asce dello stesso Christian e di Markus Goller, che sfoderano una prestazione travolgente sul ritornello e il seguente assolo in “Candle In The Night” (da rivedere, però, il contrappunto). Li segue un po’ nascosto il basso di Alexander Schreiner, ad oggi rimpiazzato da Steffen Singler.
Le tastiere, esclusivamente d’atmosfera sono affidate ad un guest (ora a tempo pieno nella band), Benjamin Kesel, che fa la sua parte senza infamia e senza lode. Non posso dire altrettanto dell’altro guest presente, il batterista Oliver Noe – anche lui ora membro fisso del gruppo -, forse vera macchia nera dell’album a livello esecutivo: il suo drumming è fortemente impreciso e gli errori vengono esaltati dall’eccessivo trigger applicato ai colpi di cassa (ragazzi, un po’ di furbizia, almeno!). Come se non bastasse, l’accordatura della batteria non è propriamente “perfetta”…
A scusante potremmo addurre il fatto che il disco è stato registrato per intero dalla band con i mezzi che un gruppo emergente può avere a disposizione, ovvero una ex stalla per maiali… Non giudicherò certo la qualità della registrazione, che peraltro non presenta lacune memorabili.
Menzione speciale per la conclusiva “Destination’s Calling”, davvero godibile nel suo happy/power.
In conclusione, vorrei dare una spinta a questa band, esortando i componenti a fare uno sforzo in più alla ricerca di un sound più personale, e sperando di ricevere presto loro notizie, magari non sotto forma di autoproduzione. In bocca al lupo!

Tracklist:

1. Gate To The Past
2. Sign Of Glory
3. Judgement Day
4. Still Believin’
5. Remember The Past
6. Candle In The Night
7. Mastery Of The Light
8. Destination’s Calling

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