Recensione: Mechanize

Di Daniele D'Adamo - 5 Febbraio 2010 - 0:00
Mechanize
Band: Fear Factory
Etichetta:
Genere:
Anno: 2010
Nazione:
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90

Fear Factory: il ritorno.

I Maestri del cyber death, da tempo in stato di morte apparente a seguito delle questioni legali in merito al moniker congiuntamente alla dipartita del fondatore Raymond Herrera e di Christian Olde Wolbers, rimettono a ferro e fuoco il globo terracqueo con “Mechanize” (ispirato in parte al libro “Third Wave” di Alvin Toffler del 1984), settimo full-length della loro ventennale carriera.
I rimpiazzi? Semplicemente Dino Cazares e Gene Hoglan.
Ovvero il mercante di riff più opulento del Cosmo ed il gigantesco batterista leggenda dei leggendari (la ripetizione è d’uopo) Dark Angel.

Non è mai facile comprendere le motivazioni che inducono – dopo anni di separazione – certi musicisti a rimettersi assieme, in più se si tratta di gente che ha scritto la Storia.
In questo caso, è bene specificarlo subito, appare inutile arrovellarsi attorno all’enigmatico interrogativo: a quattro anni dal controverso “Transgression”, i Fear Factory dimostrano inequivocabilmente che rabbia, determinazione, potenza, classe, talento e professionalità sono rimaste immutate dal loro capolavoro “Demanufacture”.
Progetti paralleli (“Ascension Of The Watchers”, “Divine Heresy”), collaborazioni e distrazioni varie non hanno minimamente intaccato la corazza della formidabile macchina da guerra, condotta dal nocchiero Burton C. Bell sin nelle pieghe dello spazio profondo in un futuro dominato dalla meccanica antropomorfa e dalla paura.

Sono sempre stato convinto che nessuno meglio di un membro formatore possa interpretare il suo ruolo all’interno di un gruppo.
Suonare musica concepita da altri, in pratica, non credo possa generare le medesime sensazioni ed emozioni. Manca sempre qualcosa.
Qui però debbo ricredermi: fermo restando l’incancellabile groove non-umano di Herrera, Hoglan si siede sul suo sgabello ancora caldo e va oltre; riuscendo a snellire i complicati passaggi ritmici con varietà ed agilità, mantenendone inalterato il gusto.
In gran forma anche Bell, che rinverdisce gli antichi fasti proponendo a piene mani la mistura growl/clean che così tanto ha influenzato le gole delle death-bands degli ultimi lustri.

Attenzione, però: l’inaspettato rinvigorimento del quartetto di Los Angeles non deve far cadere nella più classica delle trappole: “Mechanize” non è una mera ripetizione di “Demanufacture”.
La forte personalità delle canzoni, l’evoluzione ritmica dovuta ai formidabili pattern di batteria e gli abbondanti campionamenti ambient spingono con decisione il sound ben oltre il futuro prossimo venturo.  
Fermo restando che l’impulso innovativo di “Demanufacture” – Big Bang per un vero e proprio genere (il cyber death) – non poteva ripetersi in quanto con esso ne venivano tratteggiati tutti i caratteri distintivi; ai Fear Factory non rimaneva che concentrarsi sulle canzoni lungo la singolare strada imboccata quindici anni fa.
Facile a dirsi, difficile a farsi.
E invece, il “gemello diverso” della perla del 1995 ha sorprendentemente preso vita con “Mechanize”!

Apertura col botto con la title-track che, dopo l’incipit dal vigoroso sapore cinematografico (tipo “Terminator”, per intendersi), rompe immediatamente gli indugi e piomba come un maglio sui nostri timpani.
Il pezzo è massiccio, intenso, cattivo. Strofe e bridge sono interpretate con decisione da Bell che, in occasione del refrain, tira fuori l’unico ed inimitabile stile melodico del quartetto americano. Il suono è pieno, profondo, ed avvolge completamente i sensi.
Più velocità in “Industrial Discipline”, che rappresenta la miglior riuscita del disco dal punto di vista armonico, con un ritornello che si stampa al volo all’interno della scatola cranica. La classe è tanta e scaturisce con naturalezza dai complicati fraseggi ritmici fra Cazares ed Hoglan.
“Fear Campaign”: il terrore stordisce la ragione. I droni che dominano il futuro vengono spazzati via come fuscelli dalla furia di Hoglan che, alla velocità del suono, incrementa esponenzialmente le proprie partiture; portando per mano il gruppo all’irrinunciabile chorus melodico e – fatto rarissimo se non unico – al solo d’ascia di Cazares (!).  
Non c’è verso che calino tensione e consistenza: “Powershifter” è sostenuta da riffs segaossa, compressi e resi in maniera automatica.
Bell dimostra d’aver recuperato pienamente le forze inserendo le caratteristiche linee vocali pulite in mezzo ai scellerati deliri urlati a squarciagola.
Ancora introduzione da colonna sonora, dal tocco visionario e futurista come pochi, per poi buttarsi a capofitto con “Christploitation”  in un capolavoro di meccanica ritmica estremizzata ai limiti delle possibilità umane.
Chitarra dall’accordatura in rapida discesa verso il basso, drumming sciolto e snello, break rallentati e pesantissimi, campionature ovunque: “Oxidizer” sa di metallo che brilla al sole come un lingotto d’oro.
Le macchine sono le padrone indiscusse di “Mechanize” e l’apertura di “Controlled Demolition” ne è l’ennesima dimostrazione. La canzone si sviluppa attorno al formidabile motore chitarra/basso (Byron Stroud non è certo l’ultimo arrivato …)/batteria, relegando Bell nel ruolo di unico responsabile dell’aliquota umana.
Un po’ di pace, dopo tanta guerra, arriva con la lenta e sinuosa “Designing The Enemy”. Quando non mostrano spudoratamente i muscoli, i Fear Factory riescono a sviluppare meglio la parte introspettiva ed emozionale del loro progetto, planando con abilità unica nelle più rarefatte atmosfere.
“Metallic Division” fa da cuscinetto fra quest’ultimo brano e “Final Exit”, che chiude “Mechanize”.
Durante il lungo pezzo – che nella seconda metà sfuma nel vuoto con un allucinato dark ambient – s’alternano i momenti asetticamente più aggressivi con quelli più dolcemente melodici; in un apparente stridore che in realtà è il vero punto di forza e la vera originalità della proposta.
Rispetto ad “Obsolete”, “Digimortal”,” Archetype” e “Transgression” manca forse l’hit da videoclip: a mio parere, un valore aggiunto.

Mi rendo conto d’aver scritto parecchio.
Concludo allora nella maniera più semplice possibile: i Fear Factory hanno ritrovato i Fear Factory!

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Track-list:
1. Mechanize 4:41
2. Industrial Discipline 3:38
3. Fear Campaign 4:54
4. Powershifter 3:50
5. Christploitation 4:59
6. Oxidizer 3:45
7. Controlled Demolition 4:25
8. Designing The Enemy 4:55
9. Metallic Division 1:30
10. Final Exit 8:17

Line-up:
Burton C. Bell – Vocals
Dino Cazares – Guitars
Byron Stroud – Bass
Gene Hoglan – Drums

 

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