Recensione: Memorial For A Wish

Di Fabio Vellata - 7 Luglio 2013 - 0:25
Memorial For A Wish
Band: Nergard
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2013
Nazione:
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77

Una storia che suscita angoscia e tristezza quella intessuta quale base narrativa di “Memorial For A Wish”, primo segmento del concept messo in cantiere da Andreas Nergård, talentuoso polistrumentista norvegese, ad oggi, sconosciuto ai più.

Ambientata nella Dublino di metà ottocento, la vicenda narra, infatti, le vicissitudini del giovane Peter O’Donnell, ingiustamente accusato di furto e condannato a scontare una pena di vent’anni di reclusione. Conseguenza del terribile verdetto, è l’abbandono della moglie incinta, destinata a soccombere lontano dal marito proprio nell’atto di dare alla luce la primogenita della coppia.
Rilasciato al termine del lungo periodo di carcere, lo sfortunato O’Donnell si troverà quindi a fronteggiare la durissima realtà, scoprendo il dolore della solitudine e l’incapacità di proseguire il cammino di un’esistenza buia e distrutta da un destino avverso.

Insomma, una tragedia Dickensiana in piena regola. Conclusa  – tanto per aggiungere ancora un po’ d’amarezza – con l’inevitabile suicidio del povero O’Donnell.

Per somma fortuna, la drammaticità e la totale mestizia degli argomenti trattati, non si riverbera nella piacevolezza del lavoro svolto da Nergård sminuendone gli esiti. Il musicista scandinavo si dimostra dotato songwriter che – contrariamente alla pesantezza del concept – riesce invece nell’arduo compito d’offrire una miscela di brani dal sapore talvolta teatrale (del resto questo “Memorial For A Wish”, potrebbe a buon titolo essere definito una “rock opera”), in cui vengono amalgamate, con buoni risultati, influenze Power, Progressive ed AOR, in un impianto complessivo che appare spesso scorrevole ed in alcuni frangenti finanche orecchiabile.

Che l’opera elaborata non sia materia dozzinale o di poco conto, sarebbe in ogni modo facilmente intuibile dando un occhio alla lista di ospiti chiamati a contribuire. Circondarsi di grandi firme quali Ralf Scheepers, Göran Edman, Tony Mills, Mike Vescera, David Reece, Michele Luppi ed Helge Engelke (eccellente chitarrista dei Fair Warning, il cui suono è riconoscibile quanto quello di una voce), non obbligatoriamente sottintende alla creazione di un capolavoro.
Ma è in ogni modo significativo di quanto i dettagli siano stati curati, nel tentativo di fornire vesti più che “competitive” ad un progetto che si prefissa – oltre ogni altra cosa – di emozionare l’ascoltatore attraverso una mistura di immagini, suoni e narrazioni dai toni quanto possibile coinvolgenti e carichi di pathos.

Il disco, va detto, vive di alti e bassi e non sempre mette a segno passaggi memorabili e soluzioni straordinarie, attestandosi talvolta su qualche dilatazione e staticità di troppo.
È però da riconoscere in pieno la totale gradevolezza di brani quali l’iniziale e magniloquente “Twenty Years in Hell” o della roboante “Is This Our Last Goodbye”, traccia AOR che beneficia dell’estro  di Helge Engelke, protagonista di un lungo ed emozionante assolo conclusivo.
Notevoli inoltre la vellutata ed elegante “An Everlasting Dreamscape”, episodio in bilico tra morbidezze AOR e sfumature prog e la conclusiva “Requiem” (splendidi protagonisti, Göran Edman e Ralf Scheepers), pezzo dalla lunghezza sostenuta che, pur perdendosi di tanto in tanto, denota una notevole padronanza di songwriting, lasciando intendere un genuino talento nella tessitura di trame elaborate ed efficaci.

Non siamo ancora ai livelli di Ayreon, Avantasia o Trans Siberian Orchestra, pare ovvio. Parimenti, le capacità di Nergård si manifestano solari e s’intravedono come ancora tutte da esplorare.
Secondo capitolo della rock opera previsto per il prossimo anno: lecito riporre buone speranze in qualcosa che potrebbe rivelarsi ancor più affascinante e ricco di spunti rispetto a questo già comunque interessantissimo album di debutto.

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