Recensione: Metallic Tragedy

Di Eugenio Giordano - 9 Marzo 2004 - 0:00
Metallic Tragedy
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Anno: 2004
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35

Quello dei Magic Kingdom è un ritorno inaspettato dopo diversi anni di silenzio, la band ha trovato casa presso le potenti aule della Limb Music tedesca e sembra aver intrapreso una nuova fase della propria carriera dopo le difficoltà degli esordi. I nostri suonano power metal neoclassico in maniera veloce e molto melodica, questo “Metallic tragedy” è senza dubbio un disco sul quale la band ha investito un lungo periodo di composizione e nel quale i Magic Kingdom credono profondamente.
Sono veramente dispiaciuto, perchè amo questo genere, di dover criticare fortemente questo lavoro, in tutta onestà un disco come “Metallic tragedy” è quanto di più inutile possa uscire sul mercato discografico metal in questo periodo. Questi ragazzi sono degli strumentisti eccezionali, il livello tecnico del disco è sinceramente invidiabile e senza dubbio gli anni di preparazione artistica e di studio della musica emergono nettamente in ogni passaggio dei brani. Purtroppo la tecnica è l’unica qualità delle canzoni, il resto è solo una serie di soluzioni già sentite e risentite miriadi di volte su centinaia di altri lavori, ogni canzone di “Metallic tragedy” segue uno stereotipo identico a quello seguito dalla maggioranza delle band neoclassiche oggi in attività. Se le parti chitarristiche e le linee di tastiera si rivelano velocissime e molto tecniche, a fronte di brani spesso eccessivamente rapidi e saturi di digressioni strumentali, la sezione ritmica si dimostra prevedibile, ripetitiva, e francamente piatta. L’impressione generale è che per cinquanta minuti i Magic Kingdom sappiano solamente suonare a 208 di metronomo in maniera ineccepibile, ma che non siano capaci di comunicare emozioni, di sviluppare temi personali, di essere incisivi e graffianti. La produzione del disco è perfetta e segue la linea professionale tipica in casa Limb Music, in due brani troviamo Holiver Hartmann degli At Vance come special guest dietro al microfono, ma nulla riesce a destare sensibilmente l’attenzione dell’ascoltatore se non una serie infinita di passaggi veloci, melodie barocche, virtuosismi dal sapore sterile che in breve annoiano. Un errore, a mio avviso molto pesante, compromette molte delle canzoni del disco, si tratta di un eccessivo ricorso ad arrangiamenti neoclassici che ripetuti ostinatamente finiscono per riempire completamente il souno della band suscitando un senso di malessere e disappunto in chi ascolta. Per darvi una vaga idea è la stessa sensazione che mi è passata per la mente ascoltando l’ultimo lavoro in studio dei Blind Guardian e si tratta della medesima tendenza artistica negli arrangiamenti. Il disco si apre con la velocità “Child of the nile” un brano dal chiaro sapore neoclassico che si sviluppa attraverso passaggi praticamente sovrapponibili alle composizioni degli esordi discografici di Y.J.Malmsteen semplicemente enfatizzando i tempi e estremizzando i passaggi tecnici per mostrare la tecnica di cui la band si vanta. Con “The iron mask” i Magic Kingdom si limitano a generare una canzone veloce e melodica seguendo la falsa riga e lo stile dettati dal genere neoclassico, la band ha rinunciato completamente alla propria personalità esasperando la tecnica senza cercare una propria via compositiva. Il disco sprofonda letteralmente quando i Magic Kingdom decidono di cimentarsi in un brano più lungo, con “Flying pyramids” i nostri si affidano a un ritornello poco ispirato e ripetuto senza la minima ispirazione, il tutto è tenuto insieme dalla solita raffica di note veloci strombazzate in faccia all’ascoltatore per convincerlo della bravura della band. Lo stesso discorso si potrebbe riferire alla successiva “Barabas”, per l’ennesima volta i nostri giocano con melodie banali e passaggi strumentali che hanno il sapore di esercizi strumentali freddi e inespressivi. Oliver Hartmann si cimenta nell’interpretazione di “Master of madness” una canzone veramente poco ispirata, e non a caso mi vengono in mente gli At Vance che di canzoni come questa ne hanno scritte tantissime. Lo strumentale “Black magic castle” non sposta di una virgola la tendenza musicale della band, praticamente i Magic Kingdom stanno suonando la stessa cosa da quaranta minuti, anche in questo caso preparatevi a una raffica di note velocissima e a melodie quasi sottratte alle suonerie preimpostate di un cellulare. Non c’è fine al dramma, mancava l’irrinunciabile slow tempo “Another sun” che mi ricorda gli episodi più ruffiani di dischi come “Fire and Ice” di Y.J.Malmsteen. “The fight” è l’ultimo assalto sonoro sferrato dal gruppo, si tratta di un brano assolutamente veloce e saturo di melodie identiche già ascoltate in precedenza, è ormai chiaro che ai Magic Kingdom manca completamente l’ispirazione. In coda alla tack list viene posta la colossale title track che si distende in tredici interminabili minuti di inutilità artistica totale, vi assicuro un vero calvario sonoro che non merita commenti.

Seguo e rispetto il lavoro della Limb Music ma in questo caso l’etichetta tedesca ha commesso un passo falso innegabile. Quando questo disco uscirà tenete presenti le mie parole prima di imbarcarvi in una delusione cocente. In ambito power metal, ci sono band decisamente più ispirate e graffianti, credo che a conti fatti per i Magic Kingdom sarebbe stato meglio tacere ancora per altri cinque anni.

Tracklist:

1 Tazira’s magic rite
2 Child of the Nile
3 The iron mask
4 Flying pyramids
5 Barabas
6 Master of madness
7 Black magic castle
8 Another sun
9 The fight
10 Metallic Tragedy

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