Recensione: Mirage Reflection [EP]

Di Roberto Gelmi - 27 Luglio 2014 - 13:12
Mirage Reflection [EP]
Band: Kevin Serra
Etichetta:
Genere:
Anno: 2014
Nazione:
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80

Primo EP solista targato Kevin Serra, già in forza ai Quantum Legacy, italiano da parte di padre.
Il virtuoso all’età di quattordici anni resta fulminato da un concerto di Joe Satriani e di lì a poco l’amore per la 6-corde lo porta a far pratica in modo incessante. Essendo mancino inizia a suonare chitarre per destrorsi (!) e a sedici anni compone già i primi materiali originali, mentre divora musica dei generi più disparati (dal Jazz, al metal, al progressive).
Conquistata la prima chitarra Ibanez mancina, incide alcuni demo; nel 2005 studia al Guitar Institute di Londra, diventa session-man a tempo pieno e dà lezioni private di chitarra.
Tre anni dopo ritrova l’amico sardo James Carta, con cui fonda la band fusion/rock Quantum Legacy, che pubblicherà il primo album Deepest Desire nel 2011.

Arriviamo, quindi, alla primavera di quest’anno, il 2014, quando Kevin produce il suo primo disco solista, Mirage Reflection, sempre affiancato da James Carta (in veste di batterista e co-produttore) e con l’apporto di ospiti illustri (Mike LePond su tutti). Mixato da Davide Colombo al Diana Studio Recording (in Italia), e con Pavel Kuczynsky al mastering, l’EP regala una mezzora scarsa, ma significativa, di ottima musica strumentale, per professionisti (ma non solo) e amanti di Planet X, John Petrucci, Allan Holdsworth e Joe Satriani.

Quest’ultimo, nella fattispecie, è il guitar-hero che viene alla mente, inconfondibile, all’inizio dell’opener “Honour The Brave”. Il pezzo attacca, infatti, disteso, con Serra da subito ispirato, che fa eco anche al chitarrista dei Dream Theater. La sezione ritmica regge il confronto con le acrobazie della 6-corde e, invece di essere una cornice rigida, riesce a impreziosire il brano, conferendogli coesione e personalità. Ottimo lo stacco all’inizio del quarto minuto, così la positività e la freschezza che le note trasmettono all’ascoltatore (si confronti con quanto fatto da Marco Sfogli in There’s Hope). Il sound è saturo, però mai troppo pesante; la pennata di Serra è pulita e icastica.
Rising Aura” (altro titolo evocativo, in un EP che ha nel DNA una veste di ricercatezza indiscutibile) è un succedersi di virtuosismi centellinati. Squisite le cadenze a metà del terzo minuto (Allan Holdsworth docet), i controtempi di batteria e l’afflato esplosivo (à la Kiko Loureiro) che pervade il brano. Ben vengano anche alcune voci nel finale.
La title-track presenta un avvio “quadrato” (con qualche mordente), poi una malatissima sequenza robotica alla Planet X. Valida la prova di Alessandro Bertoni nella veste di un ispirato Derek Sherinian italiano (o, volendo, di Alex Argento), laddove Serra mostra di aver fatto propria la lezione dell’alieno Steve Vai. L’ultimo minuto della traccia è puro metal da headbanging: questo dimostra l’ecletticità del chitarrista italiano e la voglia di sconfinare dagli steccati rigidi di genere.

Acid Dream” ha un attacco con delay lisergici, seguiti da vaghi sentori araboidi e fusion. Fioccano i tempi dispari (che faranno la gioia di ogni progster incallito), gli unisoni sapidi (ma non narcisistici) e sagaci inserti acustici. Le divagazioni tra un refrain e l’altro (qui come nel resto del disco) non sono pleonastiche; conferiscono, bensì, maggiore longevità d’ascolto alla proposta musicale, forte anche di un insieme strumentale affiatato. Ogni “rientro” pulito di Serra pare la rinascita di una fonte che torna a zampillare, copiosa e tonificante. Dopo il brusco finale del sogno acido, tocca a “Optic Red” chiudere l’EP, con un intro curioso (che può ricordare quello di “Sacrificed Sons” dei Dream Theater), dall’andamento desultorio. Si respira un’aria catartica e volutamente trascinante, con un buon lavoro di James Carta alla batteria. Le parti fusion non stonano, le decelerazioni nemmeno; risultato, un epilogo on a high note con ultimi secondi sheriniani.

Mirage Reflection è una ventata d’aria fresca in un panorama musicale più che inflazionato. Il portato solistico di Kevin Serra, come spontanea infiorescenza senza soluzione di continuità, è un invito all’ascolto intelligente, non turbato da deliri d’onnipotenza, ma coerente con una poetica onesta e brillante.

Che il chitarrista di kilt vestito continui a stupire!

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

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