Recensione: Mission no. X

Di Stefano Ricetti - 7 Dicembre 2005 - 0:00
Mission no. X

Dopo anni nei quali il vecchio Udo Dirkschneider si ostinava a proporci lo stesso album cambiando solamente la copertina e il titolo delle canzoni – ma la sostanza era sempre quella – con Mission no.X l’ex Accept fornisce una prova fresca, che si discosta dai soliti dischi degli U.d.o. Non che la coerenza sia un peccato mortale, lungi da me il solo pensarlo! Basterebbe scorrere la discografia di band come Running Wild, Anvil ed Exciter per tappare la bocca a tutti quelli che ogni volta che esce un disco nuovo si aspettano sconquassi. E’ però doveroso dire che quando si mantiene una certa linearità esecutiva è anche vero che tutto va bene finché il livello qualitativo resta alto, in altro caso si scade nella ripetitività. Proprio questa era la mia sensazione riguardo le ultime fatiche del biondo frontman: tutto scontato, già sentito e ripetuto fino alla noia.

So, dopo dichiarazioni del genere, di attirarmi le critiche di buona parte degli ultras di Udo, ma sono convinto che un cronista debba avere il coraggio delle proprie idee, anche se può risultare impopolare. Proprio questa è la forza di TrueMetal: dare spazio alle convinzioni dei propri collaboratori senza contaminazioni di sorta. D’altronde, per leggere delle recensioni accattivanti sempre e comunque, fatte su misura per non urtare la sensibilità di alcuno (artista, casa discografica, distributore, fan accaniti etc.etc. ), basta rivolgersi altrove. Scusate la digressione.

Tornando al piccolo grande uomo, probabilmente il fatto che Mission no.X rappresentasse il decimo sigillo della sua carriera (non conteggiando i live album e gli Ep) iniziata con Animal House nel 1987 dopo lo split degli Accept di fine anni ottanta, ha risvegliato in lui il sacro fuoco del buon songwriting e i risultati sono sotto i nostri occhi – per meglio dire le nostre orecchie! – L’ugola alla carta vetrata di mr. Dirkschneider, forgiata da migliaia e migliaia di sigarette, è urticante come sempre, anzi, per molti versi quasi migliorata, visto che oggi è più sporca – ma meno potente – rispetto al 1985.  Molti brani del disco sono alquanto caratterizzati, tenendo conto che comunque si parla di un disco di Udo e il genere è HM classico alla tedesca…

L’opener 24/7, che aveva già dato il titolo al single Cd uscito qualche tempo fa, fa il verso ai grandi Accept: chitarroni teutonici che tirano la volata a chorus maschi e potenti, come ai bei tempi di Russian Roulette. Sulla falsariga si sviluppa anche la titletrack Mission no.X: dura ma nello stesso tempo catchy, come sapevano fare i grandi Accept (da antologia l’inizio atmosferico del pezzo!). I Nostri si permettono addirittura aperture moderniste con Mean Street (invero con risultati alterni) e chitarre “panterose” in Primecrime on Primetime, senza però lasciare il segno. Di assoluto spessore invece sono i due episodi rallenty del lotto: Eye of the Eagle e Cry Soldier Cry, dove l’ex Accept fornisce una prova sopra le righe, tenendo conto che i lenti non sono mai stati i suoi territori musicali preferiti. In Mission no. X non mancano, per la gioia di tutti i defender, gli attacchi all’arma bianca (la durissima Shell Shock Fever Breaking Down the Borders) e purtroppo anche gli immancabili filler (Stone Hard e Mad for Crazy). Particolarità del disco, la riedizione del pezzo Way of Life, già presente sull’album No Limits del 1998.

La formazione attuale, soprattutto dopo l’innesto di Francesco Jovino dietro le pelli, è di tutto rispetto e tremendamente compatta. Oltre a Udo alla voce, annovera infatti il fido Stefan Kaufmann e Igor Gianola alle due chitarre e Fitty Weinhold al basso. 

Sia chiaro, Mission no.X non è assolutamente un disco che possiede la caratura per fare nuovi adepti, quindi dubito che convertirà qualcuno al verbo degli U.d.o. ; rimane però un lavoro di classic HM interessante che fornirà una ulteriore dose di acciaio ai die hard del genere. 

Stefano “Steven Rich” Ricetti