Recensione: MKIII – Aliens In Wonderland

Di Roberto Gelmi - 13 Luglio 2019 - 6:19
MKIII – Aliens In Wonderland
Band: Mind Key
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2019
Nazione:
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80

Dopo un lungo iato tornano i Mind Key, con il loro terzo album distribuito da Frontiers Records. Il sodalizio partenopeo tra band e label ha permesso al combo italiano di emergere sulla scena quindici anni or sono con Journey Of A Rough Diamond e d’allora ci sono stati diversi cambiamenti. Mark Basile, Raffaele Castaldo e Andrea Stipa hanno lasciato la band, in compenso già con Pulse for a Graveheart (disco meno prog. del precedente, ma ugualmente valido) nel 2009 inizia la collaborazione con Aurelio Fierro, cantante dei più dotati in circolazione in Italia. Dopo tour assieme a band come Vanden Plas, Edguy, Europe e HammerFall, la strada del successo sembrava segnata, invece il gruppo è stato costretto a una lunga pausa durata quasi un decennio. Emanuele Colella (chitarrista) e Lucio Grilli (nuovo bassista) si trasferiscono all’estero, Dario De Cicco (tastierista) deve combattere contro una malattia, mentre Aurelio stupisce a The Voice con Cristina Scabbia in giuria. La reunion avviene in vista del terzo studio album e la line-up vede in aggiunta alla batteria Mirko De Maio (reduce dal tour con i The Flower Kings, che hanno festeggiato i 25 anni dell’InsideOut Music con gli Spock’s Beard).

Dario De Cicco sostiene che MKIII – Aliens in Wonderland (la dicitura MKIII con va confusa con quella di un recente best of dei Masterplan) è il più maturo dei Mind Key, più melodico, con riff incisivi e valorizzante le singole composizioni. Detto questo non manca la propensione alle sezioni strumentali progressive. Emanuele Colella aggiunge che il disco vive di un equilibrio bilanciato tra melodia e pesantezza (“heaviness and melody”), risultando un giusto punto di sintesi dei precedenti lavori in studio. Titolo e artwork citano l’opera di Lewis Carroll, collocandola in uno scenario distopico, in cui un Cheshire Cat più folle che mai si ritrova cosmonauta, stringendo in mano una donna di picche.

La title-track in veste di opener mette subito in chiaro con quali musicisti abbiamo a che fare. La band sfoggia un affiatamento per niente intaccato dal tempo, la voglia di trasmettere emozioni ed entusiasmo è rimasta la stessa e si sente. Il guitarwork rifugge da note droppate decadenti e dialoga con sintetizzatori ricercati; la sezione ritmica è efficace, le seconde voci non mancano, ma bisogna subito tessere gli elogi del frontman Aurelio Fierro, la cui ugola graffiante e calda è il vero valore aggiunto del combo partenopeo. Nel prog. è raro un cantante con simile carisma (se escludiamo i Symphony X e poche altre band), in questo caso, se a una componente strumentale rodata si affianca un vocalist di spessore, il gioco è fatto: il mix che si viene a creare è esplosivo. Il primo pezzo è servito per rompere il ghiaccio, l’ascoltatore ormai sa di essere di fronte a un album quadrato e ispirato. Il riff di chitarra che introduce “Hank (The Blazing Eyes)” è un altro centro, così lo stacco sul finire del terzo minuto. Sempre sostenuto l’apporto delle tastiere, tuttavia un po’ penalizzate in fase di mixaggio. “Hate at First Sight” (titolo che rovescia il sentire comune circa il noto coupe de foudre) è un brano più oscuro e con un refrain smagato (i testi non a caso recitano: «I’m not a magician»). L’incipit di “Angry Men” riassume il landmark dei Mind Key: note acustiche, seguite da uno stacco heavy tiratissimo e poi tastiera e basso pulsante, con l’avvio della prima strofa valorizzata da un Fierro sugli scudi. Ottimo mid-tempo la seguente “Hands Off Cain”, che in sede live farà faville, con il suo main-theme orecchiabile e un ritornello intriso di melodia. Altro attacco pirotecnico per “Be-Polar”, pezzo che sprigiona potenza e contiene al suo interno anche una sezione strumentale per palati fini. Merita una menzione positiva anche “Oblivion”, ballata carica di pathos e potenziale sottofondo di questa estate torrida. Gli ultimi 20 minuti dell’album si compongono di quattro pezzi discreti, coesi con il resto del platter. Forse il migliore è “Vertigo (Where the Cold Wind Blows)”, ultimo highlight in scaletta con un refrain d’applausi e un drumwork coinvolgente.

MKIII – Aliens in Wonderland è un album che non scontenterà i fan dei Mind Key e che li rilancia verso nuovi orizzonti di gloria. Poco importa se non emerge una somma varietà compositiva e i pezzi ripropongono una forma canzone ripetuta: il sound melodic prog metal – con contaminazioni hard rock e la voce ruvida di Aurelio Fierro – basta a rendere la band napoletana una teste di serie sullo scenario nazionale. Si poteva fare meglio, semmai, a livello di produzione: tastiere e batteria non sono state valorizzate appieno, il mixaggio e il mastering affidati a Riccardo Piscopo dovevano essere più curati da questo punto di vista. Nonostante questo appunto, in definitiva consigliamo l’album a una vasta platea di ascoltatori, lasciatevi irretire dallo Stregatto in copertina e iniziate il viaggio, a tutti buon divertimento!

Roberto Gelmi (sc. Rhadamanthys)

 

 

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