Recensione: Monster

Di Alessandro Zaccarini - 19 Ottobre 2012 - 0:00
Monster
Band: Kiss
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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77

Ho approcciato Monster con l’immancabile scetticismo e sospetto che il nome Kiss mi provoca ogni volta. Il perché lo sappiamo tutti, anzi possiamo tranquillamente dire i perché, visto che se da un lato c’é la nomea di “mungitori di pecunia” a risvegliare il cinismo, dall’altra c’é una produzione musicale che dal punto di vista qualitativo é stata, nelle decadi piú recenti, decisamente altalenante.

Ciliegina sulla torta, l’abitudine dell’illustre coppia Stanley/Simmons, che tende sempre a lasciarsi andare all’entusiasmo quando si tratta di giudicare i propri lavori e dichiarazioni prima dell’uscita del disco. A sentire i due, Sonic Boom doveva essere il nuovo Love Gun. Un po’ come paragonare le ali di pollo del KFC a una tagliata all’aceto balsamico. Come per Sonic Boom, anche questa volta si tratta del “miglior disco dai tempi di Destroyer” nonché “il culmine di tutto quello che i Kiss hanno fatto in passato”. Anche con tutta la buona volontá, impossibile non essere diffidenti.

Eppure c’é ancora vecchia scuola nel veterano Simmons, aria di speranza quando, parlando di questo nuovo album, chiarisce la sua posizione sulla produzione: “La tecnologia é una puttana accattivante, ma l’analogico é l’amore della tua vita”. È qui che cominciano le buone notizie: Monster é un figlio dei 24 canali. Ci facciamo forza e premiamo quel tasto play che tante gioie e dolori ci regala ogni settimana.

Vogliamo proprio che sia un caso che la bella opener Hell Or Hallelujah – ottima con il suo ritmo sostenuto e il riff quadrato e orecchiabile – si pronunci subito nei termini di “money makes the rules”? È il primo singolo, che giá girava per l’etere da luglio e che senza dubbio é uno di quei brani cosí tremendamente equilibrato e regolare da non lasciare troppi dubbi. Specialmente sul suo futuro utilizzo a inizio scaletta e di come sia stato concepito lasciando ben poco spazio all’immaginazione. E questa é un po’ la prerogativa di Monster, uno dopo l’altro i pezzi scorrono in maniera molto eterogenea: idee semplici, quasi ordinarie, rese funzionali dalla maestria di questi mestieranti, che restano esperti musicisti che ben sanno come colpire nel segno. I Kiss possono essere un bersaglio facile e legittimo per mille critiche, ma non per professionalitá: per loro la musica é un lavoro e lo fanno bene, incluso questo album, che ha richiesto dieci mesi in studio prima di vedere la luce.

L’attenzione al dettaglio si sente. Nonostante in Monster non ci sia nulla che faccia saltare dalla sedia, mattoncino dopo mattoncino i Kiss, come laboriose formichine, costruiscono una base stabile e concreta fatta di idee semplici sempre al limite dell’auto-citazione. Mettete le cuffie hi-fi e andatevi a spulciare il lavoro strumentale che sfugge al primo ascolto, la vitalitá dei colpi di crash e splash, la profonditá delle chitarre.

Con questa dedizione e il giá citato mestiere, i Kiss portano a casa il risultato: doveste dimenticarvi dell’esistenza di Monster non ne sentireste certo la mancanza; ma dategli una possibilitá al volume giusto e vi ritroverete probabilmente a tenere il tempo di All For The Love of Rock & Roll o Outta This World pestando il piede sul pavimento, rincalzando il polso mentre andate a cercare un piatto invisibile per battere il tempo di Shout Mercy. Non é abbastanza per gridare al miracolo musicale, ma abbastanza per non dichiararsi delusi da un disco che, in fondo, offre quello che c’é da offrire. Senza troppe variazioni sul tema e con 12 pezzi che viaggianno bene o male sugli stessi ritmi e le stesse strutture.

La cruda realtá é proprio questa e se da un lato é un approccio che suona quasi dozzinale, un po’ come dire “abbandoniamoci passivamente all’inevitabile e sentiamoci appagati”, d’altra parte c’é la consapevolezza che non é piú il 1979. Di questi tempi in cui i grandi nomi faticano spesso e volentieri a realizzare qualcosa degno del loro retaggio musicale, accontentarsi potrebbe essere l’unico modo per continuare a vedere questi volti noti, esattamente come abbiamo deciso di fare con altre vecchie glorie, AC/DC in primis.

Mi trovo quasi in imbarazzo a fare l’avvocato difensore dei Kiss, ma la realtá é che per quanto ruffiano Monster voglia essere, per quanto quasi ognuno di questi brani abbia un parente eccelso negli album targati Kiss degli anni ‘70 e ‘80, se lasciamo parlare la musica, questo é probabilmente il meglio che i Kiss possano fare nel 2012. Un netto miglioramento rispetto a Sonic Boom, Monster é piú solido, pesante e decisamente piú vicino ai vecchi lavori di quanto lo fosse il predecessore.

Continuano a non capeggiare la lista dei piú simpatici e attorno al mio tavolo di gala inviterei altri piuttosto che Gene Simmons, ma se diamo a Cesare quel che é di Cesare e a Paul Stanley quel che é di Paul Stanley, allora credito ai Kiss per un disco a suo modo innocuo ma ben riuscito.

Lo avranno fatto per i loro motivi piú che per l’amore per la musica, ne siamo tutti convinti, ma finché il guadagno, la fama  o quel che sia, spinge i Kiss a scrivere brani come questi, non ci resta che far buon viso (ovviamente pitturato) a cattivo gioco.


Alessandro ‘Zac’ Zaccarini

Tracklist
1. Hell or Hallelujah
2. Wall of Sound
3. Freak
4. Back to the Stone Age
5. Shout Mercy
6. Long Way Down
7. Eat Your Heart Out
8. The Devil Is Me
9. Outta This World
10. All for the Love of Rock & Roll
11. Take Me Down Below
12. Last Chance

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