Recensione: Mood Swings II

Di Eric Nicodemo - 28 Settembre 2013 - 17:31
Mood Swings II
Band: Harem Scarem
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 2013
Nazione:
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60

Il ritorno di una vecchia gloria è un evento entusiasmante ma l’eccitazione svanisce rapidamente quando il passato si presenta sotto le deludenti spoglie dell’ennesimo rifacimento.
Da qualunque punto la si veda, la registrazione ex novo di un vecchio disco suona (è il caso di dirlo!) come un’operazione meramente commerciale ed assumerla come pretesto per un nuovo inizio è un’azione azzardata, che potrebbe incontrare il disappunto dei fan devoti all’originale, come nel caso di questo “Mood Swings II”.
“Mood Swings II” nasce dal lavoro di re-recording degli Harem Scarem, storico gruppo canadese che, capitanato dal chitarrista Pete Lesperance e dal singer Harry Hess, salì all’onore delle cronache grazie ai primi due dischi, sintesi perfetta tra potenza e melodia, un connubio che il disco vorrebbe rilanciare in grande stile.

Purtroppo, le nuove incisioni non solo non aggiungono niente di già sentito ma, in un certo senso, privano l’opera di quell’atmosfera che permane la produzione originale: se, da una parte, il suono delle composizioni risulta più pulito, dall’altra, si avverte la mancanza dell’energia che animava il cantato e l’abrasività delle chitarre, sottolineata con più forza nella vecchia produzione, di certo meno “raffinata” ma di maggior impatto (d’altronde non farete fatica ad accorgervi che l’originale “Saviors No Cry” possedeva un muro sonoro più efficace o che le tastiere di “No Justice” non comunicano lo stesso trasporto emotivo).
In generale, il nuovo platter comprende canzoni di pochi secondi più lunghe rispetto alle versioni originali (fatta eccezione per “Empty Promises” e “Just like I Planned”). Tali differenze sono dovute a cambiamenti marginali nella maggior parte dei casi: per esempio, la “rivisitazione” di “Change Comes Around” dura una manciata di secondi in più rispetto alla precedente edizione, giusto il tempo per protrarre il pattern di chiusura, il quale in ogni caso “sfuma” gradualmente fino a svanire alla fine della canzone.

Variazioni più significative emergono dall’ascolto di “Just Like I Planned”, la cui struttura è stata rimaneggiata togliendo quasi completamente il caratteristico backing vox dal sentore soul; al suo posto è stato inserita, come accompagnamento, la chitarra acustica, che inizia in arpeggio e, con il procedere” della song, muta nel classico, languido” plettraggio. L’interpretazione di Harry Hess, inoltre, appare meno convincente rispetto al passato poiché in “Mood Swings” il frontman conferiva alla propria voce una sfumatura accorata all’inizio e più sofferta e penetrante in chiusura (effetto ottenuto sforzando l’intonazione).
Per aggiustare il tiro e giustificare questo inutile revival, all’album originale sono state aggiunte tre new entries, canzoni che, oltre a non integrarsi al meglio con il resto del platter, rappresentano un corpo estraneo che appesantisce l’intero lavoro (come spesso accade alle riedizioni funestate da outtakes e live tracks, che probabilmente molti di noi tralasceranno o ascolteranno nel tentativo di dare un senso alla spesa affrontata…). Dall’altra parte, è doveroso sottolineare come le nuove tracce non siano da scartare in toto: “World Gone The Piece” è senza ombra di dubbio avvicinabile ad un vigorosa power ballad, che pur mantenendo la forza delle chitarre (retaggio del primo “Mood Swings”), non riesce a ricreare la stessa penetrante verve, smorzata dal coro, elaborato più sull’impatto sonoro che sulla scrittura. “Anarchy” segue l’esempio offerto dalla precedente “World Gone The Piece”: inizia con un riff veloce e tagliente per poi stemperarsi nel coro, che coniuga armonia e potenza melodica. Rincara la dose la successiva “Brighter Day”, che rielabora gli stilemi del classico lentone, valorizzandolo con un guitar work mutevole, decorato da vibrati eleganti ed enfatici.

Forse qualcuno avrebbe auspicato una maggiore differenziazione ma al di là di questo, considerato il risultato finale, sarebbe bastato semplicemente rimasterizzare le vecchie piste.
In alternativa, era consigliabile, vista la scarsità di nuove composizioni, adattare il lavoro ad un format diverso (nello specifico il demo), eventualmente utilizzandolo come veicolo promozionale di un nuovo album.
Ancora più preoccupante è constatare che “Mood Swings II” rappresenta un trend, quello del remake, in ascesa di questi tempi (Def Leppard, Ozzy Osbourne, Girlschool) e rimane una triste testimonianza delle logiche che dominano l’industria discografica: l’unica cosa che possiamo fare è augurare agli Harem Scarem di farsi perdonare con un disco degno del loro passato, anche perché la concorrenza si profila agguerrita.

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