Recensione: Moonlight

Di Luca Montini - 3 Agosto 2016 - 2:00
Moonlight
Band: Edu Falaschi
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2016
Nazione:
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50

“Somehow I know, that things are gonna change…”

Edu Falaschi festeggia venticinque anni di carriera. A modo suo. Giunto al successo come cantante di una delle più peculiari ed identificative band che la storia del power-prog metal ricordi, all’ambìto microfono degli Angra dal 2001 al 2012, la sua figura ha diviso i fan, subendo per molti anni la pesante eredità lasciata dal suo leggendario predecessore Andre Matos. A dire la verità i primi due dischi pubblicati con la “Dea del fuoco” (da qui il moniker Angra), Rebirth (2001) e Temple of Shadows (2004) sono ricordati ancora oggi come lavori notevoli, in leggero calo i due successivi, complice un calo di voce che ha successivamente colpito il cantante e lo ha costretto ad abbandonare la nave. Ma il buon Falaschi è anche il cantante degli Almah, band carioca da lui fondata e tuttora in piena attività, uscita nel 2013 con l’ultimo disco “Unfold”. A segnalare questo importante milestone con uno sguardo nostalgico e malinconico verso il passato, Edu ci propone un ponderato “best-of” dei pezzi cantati nelle suddette due band in chiave acustica. Questa la genesi di “Moonlight”.

In appena trentotto minuti veniamo avvolti dai ricordi. Ricordi dolceamari. Emozioni forti, tangibili. Semplici, come gli arrangiamenti. Lo sciamanesimo è un’arte che viene dalla terra. Poche note, pochi ingredienti, pochi strumenti: un quartetto d’archi, un pianoforte, gli arpeggi soavi di chitarra acustica o l’entrata in scena di un imprevisto ed apprezzabile sassofono… e poi la voce di Edu Falaschi. Una voce che non convince appieno già dalle prime note, purtroppo, costretta ad abbassare i brani di tonalità per evidenti incapacità oggettive: “Nova Era” manca di cogliere nel segno, con una produzione abbastanza discutibile (il taglio vocale a 2.39 è davvero da brividi). Dopo una discreta “Bleeding Heart” il Falaschi ruggente si risveglia e ci regala un’interpretazione da applausi in “Arising Thunder”, in una veste decisamente evocativa e profonda, in cui gli ingredienti trovano finalmente la giusta dose. “Rebirth” viene completamente svuotata della sua pesante e trascendente epicità, resa più soave dal flauto di Joao Frederico Sciotti che la fa da padrona, con tanto di piccola sezione solista dedicata.
Breathe” è il solo brano attinto dalla discografia degli Almah, un po’ poco per essere l’attuale band del compositore, che con le sue ritmiche latinoamericane distribuisce qualche pennellata etnica al lavoro. 
Il disco procede su binari abbastanza mediocri, non fosse per qualche interessante picco qua e là, come il bell’assolo di piano di Tiago Mineiro in “Angels & Demons”, o il crescendo di bossa nova che porta alla conclusione di “Spread Your Fire”, che a parte fare un po’ di ingenua captatio benevolentiae nei confronti del pubblico brasiliano risulta un po’ fine a sé stesso. Medesimo discorso per il sax in apertura e a tre quarti di “Wishing Well”, una trovata simpatica ma che poco aggiunge al brano, quasi a distogliere dal poco ficcante lavoro al microfono del cantante. Chiusura telefonata con il grande classico “Heroes of Sand”, per un ultima traversata nelle lande dei ricordi e nel sogno nostalgico degli anni che furono.

Moonlight non mancherà di suscitare qualche emozione ai fan del suo creatore, nonché ad un nutrito gruppo di estimatori degli Angra e derivati. Eppure in molti si fermeranno qui, ad un fugace ascolto sognante, trascinato dall’etereo con forza verso l’imperfetto mondo reale, a causa di una performance vocale altalenante e di arrangiamenti solo discreti, che senza preavviso alcuno passano dall’anonimo al leggiadro, dall’insufficiente al sublime. Da rivedere anche la produzione. Ad una fredda valutazione distaccata non possiamo tuttavia obliare il valore incommensurabile delle melodie raffinatissime di gran parte dei brani proposti, che insospettabilmente e con grande sorpresa dell’ascoltatore si adattano anche a questi arrangiamenti minimali. Difficile fare un disastro con una materia prima così preziosa e solida. Lasciamo quindi che lo sciamano in noi si addormenti di nuovo in un sonno estatico, mentre la pallida luna di Moonlight ci illumina timida ed incerta, nell’attesa di un alba ormai fin troppo imminente.  
 

Luca “Montsteen” Montini
 

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