Recensione: Morbid Creation

Di Daniele D'Adamo - 21 Dicembre 2016 - 18:25
Morbid Creation
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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60

Death a ondate, quello degli Inquiring Blood.

Inarrestabile, rozzo, brutale, violento. Senza mezzi termini nel rifuggere da ogni moda che non sia riferita alla purezza di uno stile che non ammette discussioni.

“Morbid Creation”, secondo album in carriera del combo teutonico, è l’esternazione del concetto-base del death metal. L’intransigenza. Quella che conduce a vivere un’esistenza solitaria, lontano dalle luci della ribalta, immersi nel più profondo degli underground. Un’attitudine che si avvicina a molto a quella del black metal, in casi come questo, anche se un minimo margine di manovra di apertura verso l’esterno c’è. Lo si può cogliere, per esempio, nel ritornello dell’opener-track, ‘Japanese Knife Assassin’, ovviamente non certo catchy ma comunque elaborato per restare in qualche modo aggrappato alla sconnessa superficie interna della scatola cranica.

L’aggressività è una caratteristica comune, in “Morbid Creation”, che, accompagnata a un suono pulito, rotondo, poderoso, conforta l’anima con una dose massiccia d’energia, da far rimbombare anche gli organi interni. Budella, in primis. Il richiamo al thrash c’è, come da copione (‘Death Row’), e questo, forse, limita la velocità delle song, le quali non entrano quasi mai (‘Death and Decay’) nel territorio dei blast-beats, seppure in certe occasioni si pigi con foga sul pedale dell’acceleratore (‘Three Feet to Carnage’).

Interessanti le linee vocali, praticamente raddoppiate, nel senso che c’è sempre l’unione sovrapposta dei due stili vocali principi del metal estremo: il growling e lo screaming. A dire il vero, il growling soffuso di Daniel Siebert non è granché, troppo monotono e alla fine noioso. Ecco, a proposito, ciò che alla fine resta più impresso di “Morbid Creation” è la sua monoliticità. Esagerata. Sì da rendere le canzoni un po’ ripetitive. Certamente brani come ‘Voices’ sono delle maledette mazzate sulla schiena, davvero dolorose per quanto sia possente il sound dei Nostri. Ma anche scontate, nel senso che a ogni svolta – cioè nel passare da un pezzo all’altro – non c’è nulla di sorprendente. Non c’è attesa. Dopo pochi ascolti, difatti, “Morbid Creation” regala a piene mani tutto ciò che possiede. Una grande, stentorea, erculea potenza, certamente, ma, poco altro, in più.

Una macchina da guerra, dalla massa abnorme, tuttavia poco manovrabile, per niente agile. Così, volendo, si può raffigurare il full-length.

Lo stile non è male: è evidente che Marco Gronwald & Co. i loro strumenti li sappiano suonare, anzi, picchiare; com’è altrettanto lampante che la band abbia sia esperienza, sia mestiere, sia dimestichezza con le sale di registrazione. Tutto sommato, “Morbid Creation” presenta i caratteri di una certa riconoscibilità, all’interno dello sterminato panorama di prodotti metallici oltranzisti. Quello che manca, di contro, che mina la capacità propulsiva di quella macchina da guerra di cui si scriveva sopra, è la creatività – purtroppo per i quattro Hannover – parecchio limitata alla riproposizione dello stesso schema d’attacco.

Carica, carica, carica… e poco più… con un giudizio complessivo di sufficienza, sebbene assai risicata per la ridetta tediosità di fondo.

Daniele D’Adamo

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