Recensione: Mother Earth

Di Mattia Di Lorenzo - 15 Aprile 2007 - 0:00
Mother Earth
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Anno: 2000
Nazione:
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85

Metal o non metal?
La domanda è tutt’altro che scontata, dal momento che il genere degli ormai famosi Within Temptation è ibrido; e in particolare in questo, bellissimo cd. Il fatto è questo: basta un’interpretazione dei brani leggermente “cupa”, un paio di chitarre distorte, e l’abbondante uso di tastiere di atmosfera per affibbiare a un gruppo l’etichetta “gothic”? Può darsi di sì, ma qualcuno potrebbe non essere d’accordo… Di certo gli olandesi si avvicinano molto ai “power” Nightwish, così come agli Evanescence, che non si considerano nemmeno gruppo metal al 100%. Dall’altro lato, però, mi sembra assolutamente fuorviante considerare come appartenenti allo stesso genere Within Temptation e Cradle of Filth, per esempio.
Senza esprimere alcuna preferenza, vi immaginereste il “vampiro” Dani nei panni di Sharon, in una improbabile cover di “Our Farewell”? Ogni confronto è impossibile, la musica espressa dai due gruppi è completamente diversa. E non è affatto detto che chi ascolta gli uni possa apprezzare anche gli altri senza difficoltà. In questa situazione, un ascoltatore “purista” potrebbe essere giustificato nell’affibbiare un giudizio negativo ai Within Temptation parlando di “commercializzazione”, se non addirittura di “tradimento” del genere. Io credo che il problema stia a monte, e sia semplicemente, appunto, di etichetta. Comunque, penso che per il movimento Metal in generale sia un onore avere un gruppo come i Within Temptation tra le sue fila. Fa bene eccome, sia per l’ottima qualità delle proposte musicali, sia per attirare un pubblico leggermente più vasto all’ascolto della nostra, fantastica musica.

È con piacere, dunque, che recensisco questo cd, per me il migliore degli olandesi, che non dovrebbe mancare a nessun amante della buona musica, metal o non metal che sia.

Partiamo dunque. 
Violino e pianoforte. Un tema di danza… Basta un attimo, e si è già immersi nell’atmosfera del Nord. Entrano i cori, sale la suspence… E poi via, ci si perde nella furia degli elementi. È già pelle d’oca, dopo i primi quaranta secondi. Il miglior biglietto da visita possibile. È “Mother Earth”, perla di rarissima bellezza, che da sola vale l’acquisto dell’album. La melodicissima e acuta voce di Sharon scivola leggiadra e imprendibile, invitandoci a restare con lei, cantare a squarciagola la potenza della Madre “Until the end of time…”. Stupendo il coro centrale polifonico di voci maschili, in crescendo di intensità e di tensione, fino all’ingresso dei soprani, e al ritorno della melodia iniziale, su cui l’Headbang parte da solo. Canzone del ritorno, ciclicità degli elementi di una natura misteriosa e selvaggia. Non manca un pizzico di inquietudine, non manca la giusta aggressività. Non manca proprio nulla. Impossibile restare impassibili, sacrilegio non ascoltarla dieci volte di fila. Sul resto si può avere dubbi, su questa no. Questo è vero Heavy Metal, ed è un vero e proprio capolavoro!

Stop.
Meglio fermarsi subito, prendere una boccata d’aria prima di ripartire. Dopo quello che si è ascoltato si rischia di perdere il senso del valore del seguito.
Ice Queen” è infatti qualitativamente un po’ sotto… Ma potrebbe essere altrimenti? È una canzone meno cupa, più diretta e radiofonica, non solare ma nemmeno stuggente. Sharon mostra qui la sua ottima estensione da soprano, nonché le sue qualità interpretative nelle sezioni più lente. Si chiude in sfumando, con lieve senso di mistero.
Our Farewell” è la prima ballad dell’album. Semplicissima nella struttura, inizia su note di pianoforte e violoncello, per poi aggiungere gli archi nel proseguo. Sensualità e dolcezza sono le parole d’ordine. Inaspettato ma azzeccato il break di chitarra e batteria della seconda parte.
Caged” incalza su timbri più foschi. Canzone davvero particolare, soprattutto per l’impostazione vocale di Sharon, che si discosta dall’atteggiamento etereo tenuto fino a questo momento mostrandosi molto aggressiva. Parte centrale lirica e melismatica, seguita da un riff di chitarra quasi trash. Si conclude sul ritornello, con accentuazione delle tastiere epicheggianti.
La tensione torna al vertice con la voce dall’oltretomba dell’introduzione di “The Promise”. L’aggressività dello stupendo riff iniziale si tramuta nell’estrema semplicità della prima strofa. Gli strumenti accompagnano Sharon, sorreggendo il pathos, che raggiunge livelli considerevoli. Notevoli gli arrangiamenti, mai uguali a se stessi, ma sempre perfetti per la situazione.
Never Ending Story” è la seconda ballad, caratterizzata dall’ostinato circolare di tastiera, che si interrompe solo in prossimità del chorus. La varietà di idee nella sezione ritmica evita la ripetitività. Protagonista della canzone il basso, che, spesso sacrificato in questo genere musicale, funge qui davvero da base dell’apparato armonico. Da notare anche il duetto di voci femminili nella parte finale, in abile contrappunto.
I sette minuti abbondanti di “Deceiver of Fools” scorrono lisci come l’olio, passando dagli ariosi cori iniziali, al celeste duetto su accompagnamento di tastiera, alle maestose parti orchestrali.
L’“Intro” strumentale di “Dark Wings” ci porta invece nel bel mezzo di un incubo. Il pianoforte esegue fino alla nausea un delirante motivo, mentre nel sottofondo strane voci sussurrano… La canzone vera e propria inizia con cori in perfetto stile Nightwish, e non si distingue particolarmente, se non per la parte centrale, dove Sharon si destreggia in aggraziati melismi alla “The Siren”.
Il cd, infine, ci saluta con la mielosa ballad “In Perfect Harmony”, estremamente dolce e rilassata, come già il titolo fa presagire. L’influenza più evidente qui, incredibile a dirsi, è una certa frangia della musica New-Age (Enya in primis). Esperimento riuscito, non c’è che dire. Bellissima soprattutto la parte iniziale, con tema di flauto che ci trascina in sogno nei lidi più ameni, “in a world so far away…”.

Un ottimo lavoro, insomma! Semplicemente esagerata “Mother Earth”, molto belle tutte le altre. Pochissimi i cali di qualità, la pecca maggiore dell’album potrebbe essere scovata nell’ “eccessiva varietà”, fatto positivo per la band, in quanto dimostrazione della presenza di molte idee compositive, ma sintomo di leggera indecisione riguardo all’intima natura della musica proposta. Gli album successivi ovvieranno a questo problema, pur essendo, secondo me, leggermente inferiori. L’album ha avuto una riedizione nel 2003, in cui sono presenti come “bonus tracks” alcune tracce live.

Tracklist:
1. Mother Earth
2. Ice Queen
3. Our Farewell
4. Caged
5. The Promise
6. Never-ending Story
7. Deceiver of Fools
8. Intro
9. Dark Wings
10. In Perfect Harmony

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