Recensione: Mother invention

Di Beppe Diana - 4 Agosto 2002 - 0:00
Mother invention
Band: Stramonio
Etichetta:
Genere:
Anno: 2002
Nazione:
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80

Frontiers records e metal italiano, un connubio che fino a qualche anno fa sembrava solo una mera illusione, negli ultimi mesi si sta invece trasformando in una realtà sempre più consolidata, e se qualche tempo fa avevo personalmente gioito per il debutto della big band Vicious Mary, mi tocca dovermi ripetere con il come back discografico di un’altra big sensation, ovvero i veneti Stramonio.

 

Artefici qualche anno fa di un ottimo debutto, quel “Season of immagination”, album che aveva raccolto consensi e lodi un po’ su tutti i magazine del settore, e che  aveva avuto se non altro il pregio di lanciarli in cima all’elite delle band italiane che contano, i nostri cinque amici erano attesi al varco, per poter dimostrare con i fatti, che gli elogi e le parole spese nei loro confronti, non erano per niente campate in aria.

 

Beh, avendo avuto la possibilità di ascoltare più volte il disco in questi giorni, posso tranquillamente ammettere senza remora alcuna che gli Stramonio hanno superato la prova del nove confezionando un nuovo strepitoso album che per intensità ed emozione profuse, sarà ricordato senz’altro come un must del genere, un album che sono sicuro, aiuterà a rilanciare le sorti di un genere, come il prog metal, molto in ribasso ultimamente.

 

Giuro che descrivere a parole un opera omnia della portata di questo “Mother invention” è un’operazione piuttosto ardua, anche perché gli Stramonio sono una band ben consapevole delle proprie capacità tecniche, e che soprattutto sa come uscire fuori dai soliti canoni prestabiliti, rendendosi artefice di un suono che congloba in un’unica intricata struttura sonora, le influenze musicali più disparate, pensate che durante l’ascolto di un singolo brano si passa con disinvoltura da partiture metal a quelle jazz, dal funky al reggae , avete letto bene.

 

Un mosaico sonoro dunque, dove i tasselli si incastrano alla perfezione, dando forma a delle piccole perle sonore che, come nel caso della splendida “Loose from a dam”,  se fossero supportate da qualche speaker radiofonico poco intransigente, potrebbero portare alla band ben più di una semplice gratificazione personale. Così dalla tellurica “Desert night” passando alla contorta “In my eyes”, fino ad arrivare alla suadente quanto conturbante “Here i am”, song che dimostra la maturità artistica dei cinque musicisti in questione, è un susseguirsi di sussulti e vibranti emozioni che vi inebrieranno i sensi.

 

Perciò, cos’aggiungere in più se non che non acquistare questo album sarebbe come commettere una grave illazione contro il patrimonio artistico/culturale di una terra come l’Italia che da anni oltre ad essere ricordata come  la patria di poeti, santi e navigatori, è e sarà ricordata anche come patria di metallari!!!!????

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