Recensione: Murder The World

Di Mattia Gatti - 31 Gennaio 2009 - 0:00
Murder The World
Band: Bloodshot
Etichetta:
Genere:
Anno: 2008
Nazione:
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45

Poveri Hatebreed. Sciommiottati ormai da qualunque banda del tubo nonchè manica di beceri e grezzi strumentisti. Tra questi la gioia del podio (scegliete voi la posizione, non è importante) va di sicuro ai belgi Bloodshot, ciarpame metal-core suonato in modo banale e ripetitivo, senza idee e soprattutto senza cuore. Lungi da me chiedere a ciascun gruppo saturante la scena un approccio innovativo ad essa, questo sarebbe impossibile e me ne rendo conto. Ma qui proprio si parla di aria fritta, riff già suonati un milione di volte e linee melodiche ormai stra-utilizzate. Mi chiedo come sia possibile provare ancora ad investire su simili baracconate da parrocchia, magari lasciando in disparte gruppi ben più validi che avrebbero davvero qualcosa da dire e contribuendo ad immettere sul mercato lavori che di artistico al massimo hanno la copertina e che non fanno altro che assecondare il privilegio della quantità sulla qualità. Perchè insomma, a parere di chi scrive questo Murder The World è proprio un disco inutile. Provate ad inserirlo nel lettore, vi scivolerà addosso come una saponetta su un pavimento levigato, quasi non vi accorgerete del suo passaggio in 40 minuti di piattume cosmico.

L’unica sua utilità sarà farvi impazzire per la comica ostentazione di clichè mosh-metal-core. Dalle gang vocals al cantato alla Jamey Jasta in versione nicotinomane, passando per rallentamenti a go-go, parti in cassa-rullo tipicamente “-core” e riff che aspirano a scalzare la scoperta dell’acqua calda dal trono delle ovvietà.. Più e più volte vi ritroverete a prevedere i riff successivi a quelli che state ascoltando, dimostrando per l’occasione capacità paranormali degne del miglior Mago Otelma, e ancora più volte, in accordo con la bellezza delle partiture di basso e batteria, vi verrà voglia di sperimentare le capacità aeree di un cd musicale.. Una nota di merito va però rivolta ai cori presenti, ad esempio, in  In Murder We Trust, un misto tra Jacob Bannon con la raucedine (tanta raucedine..) e un gatto castrato. Già un classico.

Difficile dunque, di fronte ad’una simile scarsezza di inventiva e di contenuti interessanti, indicare al papabile (e a parer di chi scrive autolesionista) ascoltatore un brano rispetto ad un altro. Il consiglio allora, se proprio siete così vogliosi di farvi del male, è quello di ascoltare il platter per intero, magari come sottofondo di una partita nostalgica a “Carmageddon” o qualsiasi altra cosa in cui pensare non sia un priorità..
Un platter consigliato a tutti coloro che non conoscono gli Hatebreed o i Born From Pain, giusto per dire due nomi tra quelli più rappresentativi, e che vivono tutti i giorni con il paradigmatico pensiero che “Mosh è bello a priori”.
Se non fate parte di questa categoria potete benissimo guardare altrove e, anzi, andarvi a sentire gente che questo genere l’ha inventato e cerca di portarlo avanti con molta più genuinità e freschezza (vedi i gruppi citati sopra).
Speriamo che la Scarlet in futuro investa su band che hanno davvero qualcosa da dire, magari cercandole in Italia, piuttosto che assoldare semplici mestieranti che si divertono con i rallentoni.

Mattia Gatti

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Tracklist:

1. Hunt is On 02:46 
2. Stand Your Ground 03:03 
3. Payback Time 03:16 [mp3]
4. Blood Harvest 03:04 
5. In Murder we trust 03:37 
6. Dawn of Damnation 03:38 
7. 623 03:53 [mp3]
8. Embrace New Life 04:36 
9. Exposure 04:04 
10. Forever Drowned in Sin 04:33 
11. A New Horizon 02:55 
12. Outro 01:29 

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