Recensione: My Body, My Time

Di Stefano Santamaria - 8 Gennaio 2018 - 0:00
My Body, My Time
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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92

Terza fatica in studio per gli Hornwood Fell, progetto italiano dedito ad un black metal atmosferico e decisamente originale. La nera fiamma soggiace nelle note del progetto, ma le ambientazioni vanno ben oltre determinate strutture e distorsioni. Relegare un sound di questo tipo ad un genere è riduttivo, perché “My Body, My Time” abbraccia molte sfumature, alcune dissonanti e che potremmo definire tranquillamente avanguardistiche. 

C’è una sorta di teatralità, un sound diretto che  poi sublima in un manierismo di linguaggi. Ci sono sparute citazioni di Norvegia nei brani, ma sono brevi lampi per una personalità che non vuole fermarsi al deja-vu. I passaggi di chitarra più armoniosi diventano carezza di melodie da cui poi sprigionare lapilli di geniale estremismo sonoro. 

Gli Hornwood Fell non somigliano a qualche realtà in particolare, non appartengono a questa o quella scena, diventando così interpreti protagonisti di un proprio modo di intendere il black metal. Le cacofonie su cui si sviluppa ed inerpica l’intero full-length costruiscono più chiavi di lettura dei brani. Accanto all’immagine più nera, allo stesso istante, viene costruita un gioco di luci in cui disperato grido, diventa anche monito per reagire e sprigionare nuovo vigore. 

Disarmonie si intrecciano, creando un’unica consonanza di intenti, cambi di tempo e repentine variazioni che si mescolano tra concetti di progressive e jazz.

La vena folk/pagan del disco non si discute, perché c’è molta epica nei crescendo degli artisti. Mareggiate di suoni ci investono, ripescando per espressività Attila Csihar e i suoi vocalizzi più “esasperanti”. 

My Body, My Time” necessiterà molteplici ascolti per essere compreso a pieno, scoprendo ogni volta un angolo e un’eco che non avevate colto. Fortunatamente ci imbattiamo ancora in uscite così personali e pregne di genialità come questa, un modo di concepire la musica estrema che va a sfiorare concetti già visti ed altri non ancora esplorati. Fuoco che arde, istante fotografato in cui poesia di colori ci ridona la pace, femminile delicatezza e poi omerica cavalcata verso il sole, convivono in un’unica espressione artistica.  Hornwood Fell, un nome da scoprire e da tenere in considerazione per il futuro.

 

Stefano “Thiess” Santamaria

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