Recensione: Mythology

Di Onirica - 26 Novembre 2004 - 0:00
Mythology
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Anno: 2004
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80

Terza impresa solista per il tastierista californiano Derek Sherinian. Selvaggiamente osannato dalla critica dopo la collaborazione durata tre anni in casa Dream Theater, sfrutta la potente etichetta internazionale per tornare sulla scena del progressive mondiale con un album simbolo della maturità conquistata con audacia nonchè vetta personale dal punto di vista compositivo. Circondato da amici musicisti come Zakk Wylde (chitarra e voce), Steve Stevens, Allan Holdsworth, John Sykes, Steve Lukather, Simon Phillips, Tony Franklin, Marco Mendoza, Rufus Philpot, Jerry Goodman (violino) e Brian Tichy, non diventa poi tanto difficile mettere alla berlina un disco capace di spezzare gli sguardi maligni di tutti coloro che hanno sempre messo in dubbio le sue potenzialità tecniche, il suo gusto sonoro e la sua sensibilità artistica. Questa è la rivincita, uno scacco matto ad un Jordan Rudess che si rivela ridicolo quando nelle interviste snobba le giovani band progressive di tutto il pianeta Terra ritenendole una misera scopiazzatura di quanto già scritto dai Dream Theater, come se i gruppi emergenti si ispirassero alla seconda metà della carriera artistica del famoso gruppo americano e non piuttosto alla prima dove lui non è presente! Troppi soldi danno al cervello questo è risaputo. Derek viene scaricato dal gruppo che lo ha reso famoso ottenendo il prezioso favore della pubblicità che ha distribuito il suo nome durante centinaia di concerti praticamente ovunque, prende contatti con la Magna Charta ed inizia la scalata come solista che conduce alla piacevole sorpresa datata novembre 2004.

Keyboard protagonista principale naturalmente, ma quanti tastieristi riescono ad incollare delle chitarre così prestanti ad un progetto solista? Ecco il segreto di questo ottimo risultato risiede nel raggiungimento di una coerenza compositiva all’avanguardia, dove le normali parti vengono invertite ed infarcite in modo tale che lo strumento bianconero riesca ad appoggiarsi su una solidissima base chitarristica in grado di enfatizzarne le qualità migliori. Scrivere un disco solista dove il proprio strumento è padrone unico della scena non è impossibile (come floppando testimonia Tomas Bodin), ma impresa ben più ardua resta cucire intorno al proprio manoscritto un discorso strumentale che rispetti gli argomenti presentati senza tralasciare assoli di chitarra ed una riffologia attinente ed accattivante. Disco non fondamentale ma significativo, pensateci sopra ma ricordate di togliere le scarpe questa volta.

Andrea’Onirica’Perdichizzi

TrackList:

01. Day of the Dead
02. Alpha Burst
03. God of War
04. El Flamingo Suave
05. Goin’ To Church
06. One Way or the Other
07. Trojan Horse
08. A View From The Sky
09. The River Song

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