Recensione: Mythos

Di Gaetano Loffredo - 3 Marzo 2005 - 0:00
Mythos
Band: Raising Fear
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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75

Giungono al debutto i nostrani Raising Fear, gruppo formatosi nel 2000 grazie al sodalizio di due chitarristi provenienti da background musicali diametralmente opposti del calibro di Yorick (Helreidh) e di Alberto Toniolo (War Trains): il primo da sempre impegnato sul fronte Progressive e sinfonico, il secondo invece coinvolto nella scena del Metal più classico ed a tratti del Thrash più estremo. Il connubio di due personalità così diverse sfocia in un progetto Speed-Power dal sapore molto anni 80 che prende il nome da una canzone degli Armored Saint ovvero Raising Fear. Dopo un più che discreto demo, che vide la luce nel 2003, i due axeman in compagnia di Frana al basso, Galimberti alla batteria e Rob Della Frera alla voce, presentano questo Mythos: buon platter tutto incentrato sulle tematiche mitologiche (come del resto suggerisce il titolo) dalle sonorità schiette e senza fronzoli di estrazione certamente Power ma molto ammiccanti all’Heavy Metal più tradizionale.

Mythos presenta un’interessante artwork, disegnato con un apprezzabilissimo stile, che rimanda al contenuto del disco ritraendo insieme vari miti appartenenti a culture e periodi temporali disomogenei; effettivamente ascoltare questo lavoro equivale al lasciarci introdurre da una guida nelle varie aree di un museo: una galleria nella quale vengono mostrati dei dipinti che ritraggono le più disparate ed affascinanti figure mitologiche.
Tuffiamoci quindi, senza indugiare oltre, nell’analisi track-by-track di un prodotto capace di portarci indietro nel tempo sia musicalmente sia per quel che concerne le ambientazioni, trascinandoci ora sulle rive dell’Eufrate, ora nella gelida Asgard, passando persino per la Camelot di Re Artù senza disdegnare una puntatina fra le righe della Divina Commedia del toscanissimo Dante Alighieri…

Thorr


Il suo nome significa Tuono, figlio di Odino e di Jördr, Thor era considerato il più potente degli Dei, protettore degli umani di Midgard combatteva insieme all’inseparabile Mjolnir, martello poderoso costruito dai nani, dotato di materiale infrangibile e reso incantato dallo stesso Odino, aveva le peculiarità riservate ai boomerang: una volta colpito il bersaglio, Mjolnir tornava tra le mani di Thor…
I sette minuti e dodici secondi del brano ripercorrono le gesta dell’eroe nordico scandendo con precisione ed aggressività i rintocchi di chitarra e batteria che accompagnano il vocalist italiano sino al ritornello di matrice ottantiana che, nonostante rimbombi periodico nelle nostre teste, riesce a non appesantire il risultato finale che decreta Thorr come il probabile brano più riuscito del lotto.

Theseus


Riff lenti e cadenzati introducono Theseus, secondo pezzo di questo disco, che sviluppa la propria trama con un onesto e genuino sound condito ovviamente con tanta melodia. La leggenda narra di Teseo, eroe per eccellenza dell’Attica, come Eracle lo era stato del Peloponneso. Figlio di Egeo, re di Atene e di Etra, accompagnò a Creta i giovinetti che costituivano il tributo dovuto dagli Ateniesi al re Minosse per il Minotauro; si fece chiudere nel labirinto dopo che Arianna, la figlia del re, gli aveva procurato il filo grazie al quale ritrovò alfine l’uscita, dopo aver superato ogni insidia e ucciso il mostro. L’ascoltatore viene magistralmente condotto attraverso il labirinto da una marcia dai sapori epici sulla quale si impone la graffiante voce di Rob Della Frera, molto versatile e sempre all’altezza della situazione. Il brano presenta uno chorus molto “easy” ed un solo di chitarra che risulta brillante nonostante  il susseguirsi di scale non complicatissime, dimostrazione del fatto che non bisogna per forza esibirsi in virtuosismi esasperati per far presa sugli ascoltatori.

Fenrir


Coloro i quali sono legati ai miti nordici non potranno non gioire nell’assaporare la successiva Fenrir, song dedicata al gigantesco mostro in forma di lupo primogenito di Loki e della gigantessa Angrboda, temuto dagli dèi a causa della profezia che lo dipinge come colui che sarà il responsabile della fine del mondo e degli stessi dèi.  Un vero e proprio inno di oltre cinque minuti che incede maestoso a suon di chitarre taglienti alternate sapientemente ad arpeggi dal sapore mistico e glaciale allo stesso tempo, con ritmiche leggermente più veloci rispetto al precedente pezzo. Fenrir venne ingannato dagli dèi, che commissionarono ai nani la creazione di una catena che risultasse indistruttibile e gli proposero una prova di forza al fine di stabilire se fosse in grado di spezzare anche questa come aveva in precedenza fatto con le più potenti catene mai costruite. Fiutando l’inganno, Fenrir chiese a sua volta agli dèi una prova delle loro buone intenzioni: uno di loro avrebbe dovuto mettere una mano tra le sue fauci. Tyr accettò, e gli dèi incatenarono il lupo con Gleipnir (nome della catena magica costruita con i seguenti elementi mistici: l’orma di un gatto, le basi di una montagna, una chioma di donna, il respiro dei pesci, i tendini di un orso e uno sputo di uccello) . Inutile dire quanto accanitamente Fenrir si dibatté senza potersi liberare da quel sottile nastro. Per vendicarsi, staccò con un morso la mano di Tyr, ma venne incatenato ad una roccia posta un miglio sotto terra. Il momento enfatizzato dal brano però è quello che lo vede, nel giorno del Ragnarok, spezzare la catena magica ed unirsi ai giganti nella battaglia contro gli dèi: “Asgard unite! Asgard unite! Fenrir is here!”.

Montezuma


Un’altra semi-suite ci trasporta tra le rovine azteche rese di nuovo vive da un violento ritorno al passato, e dall’ultimo imperatore Montezuma di predette terre…
Un’empirica introduzione iniziale sembra voler trasmettere all’ascoltatore la sensazione di guardare con gli occhi dell’Imperatore dalle sembianze di un Serpente piumato, l’arrivo a cavallo degli odiati Spagnoli, scrutandoli metaforicamente quasi come fossero Dei che discendono dal cielo.
La parte centrale del brano è affidata ad un lungo ed interminabile stacco strumentale che rallenta ed accelera quasi a percepire l’opprimente sensazione di Montezuma che, prima accoglie gli Spagnoli e poi viene ucciso dagli stessi dopo un’insurrezione popolare.
Tecnicamente la quarta traccia non offre spunti di altissimo rilievo ma riesce a mettere a segno colpi di prestigio dal profilo compositivo, segno che la band riesce sempre e comunque a brillare ed a rendere soddisfacente il proprio operato: importante peculiarità.

Merlin


La quinta traccia, dai ritmi serrati e sapientemente sostenuti da un riffing potente e senza sbavature, ci trascina in quella favolesca Camelot di Re Artù enfatizzando la figura di Merlino. “Merlin” mostra un songwriting leggermente più articolato e raffinato pur senza perdere minimamente la prerogativa di risultare “diretta” come del resto tutto il lavoro. Anche qui è presente un chorus davvero “easy”, ma stavolta le scale, eseguite in maniera davvero pulita e precisa, risultano molto più originali che in pezzi come ad esempio “Theseus”. Secondo la leggenda Merlino, nato nel villaggio di Carmarthen nel Galles meridionale, è figlio di un diavolo e di una vergine. Dopo la morte dell’usurpatore Vortigern diventa il consigliere e il protettore dei legittimi re di Britannia ed innalza per loro il monumento megalitico di Stonehenge. Grazie ai suoi poteri magici favorisce la nascita di Artù, costruisce la Tavola Rotonda e intercede presso la “Signora del Lago” per dotare il suo re di Excalibur, la spada invincibile.

The Goddess


Chitarra elettrica e chitarra classica, secondo i nostri gusti, come il Re Mida, trasformano in oro tutto ciò che eseguono in combinato ma, nella fattispecie, The Goddess si presenta come un punto debole di Mythos in quanto personalità e soprattutto originalità vengono messe a dura prova  proprio nel songwriting. The Goddess è una Dea, il testo è una dedica Petrarchesca come freccia d’amore che Yorick lancia con una balestra magica alla propria dolce metà che pare descritta come la Dea greca della bellezza e dell’amore , che si richiama alla fenicia Ìshtar entrata poi nel pantheon romano con il nome di Venere.
L’elaborazione del mito di Afrodite in ambiente greco s’incentrò sull’idea dell’amore, inteso però non come sentimento, ma come forza naturale di cui il sentimento amoroso non sarebbe che un sintomo.

Charon


La settima song introduce tematiche decisamente più cupe, quantomeno per quel che concerne il testo. Charon è un omaggio al personaggio descritto da Virgilio in Eneide, VI, 298-304, nei più minuti particolari, che Dante in seguito efficacemente sintetizza in pochi tratti rendendolo una delle figure più carismatiche della sua Divina Commedia. Lasciamoci quindi “traghettare” senza indugi dalle chitarre duellanti di Yorick e Toniolo che macinano riff su riff non disdegnando di prodursi in cavalcate molto cadenzate dal sapore retrò: anche qui come in Theseus prevale il buon gusto a discapito della velocità a tutti i costi. Da sottolineare per l’ennesima volta la grande prova vocale da parte dell’ottimo Della Frera, capace di interpretare perfettamente i diversi momenti del brano dosando ad arte il suo “strumento”.

Gilgamesh


Due splendide chitarre classiche introducono Gilgamesh, incantando quasi l’ascoltatore prima di trascinarlo nel riffing poderoso prodotto dalle “sorelle” elettriche per l’occasione ancora più graffianti del solito. Tiratissimo pezzo heavy scandito da un Galimberti che pesta sulla doppia cassa veloce come un treno, preciso come un orologio anche nei frequenti cambi di tempo, ed impreziosito da splendide sfuriate degli axe-men: probabilmente uno dei pezzi più belli da ascoltare dell’intero platter. Gilgamesh, quinto sovrano (dopo il diluvio) della potentissima città sumera di Uruk, adagiata sulle sponde dell’Eufrate. Creato dagli dèi con acqua e fango, per due terzi divino e per uno umano, dotato di un corpo perfetto ed avvenente fu lui a porre le fondamenta dell’Eanna, la Casa del Cielo, il tempio dedicato ad An dio del cielo e ad Inanna dea dell’amore. Dedito alla lussuria più sfrenata, conobbe i “grandi misteri” e la gloria  fin quando non perse il dono dell’immortalità.

Ocasta


La figura di Ocasta è ben incastonata nel brano conclusivo (esclusa la cover) di questo disco.
Anche in questo caso, la voce di Rob esemplifica con le molteplici espressioni che le competono, l’alterna emotività del Blessed and Damned, del benedetto e del dannato Ocasta, che in un primo momento aiuta il Creatore e professa del bene , in un altro è causa di distruzione, dolore e morte.
Attaccato e lasciato in fin di vita vicino ad un villaggio tra betulle e conifere, gli uomini tentarono di disfarsene definitivamente dandogli fuoco, Ocasta si salvò grazie alla natura che lo portava a mettersi dalla parte del bene per sconfiggere il male.
Good or evil recitano i versetti dei testi del brano; decidete voi quale sentimento affidare al mito attraversando le lande sperdute ove la storia viene raccontata, facendovi aiutare dalla sezione ritmica offerta da Alberto, Frana e Cristian, dai soli ineccepibili di Yorick e dalla maschia voce di Rob.

L’ottima cover di Angel Witch chiude in modo esemplare un disco che ha una piccola grande pecca: la monodirezionalità.

Il sound dei Raising Fear, durante il cammino di Mythos, non lascia spazio a nessuna sorpresa di sorta ed a nessun tentativo di spiazzare l’ascoltatore con inserti che siano in qualche modo personali ed in grado di poter regalare alla band un chiaro e preciso punto di riferimento.
Ciononostante, l’album sguazza egregiamente su lidi che il pubblico (soprattutto quello più datato) apprezzerà senza remore ed accoglierà i nostrani “miti” come la new sensation pronta ad esplodere con i lavori futuri: la tecnica c’è e si vede, ora attendiamo soltanto qualche idea geniale ed il gioco sarà (ben) fatto.

Gaetano “Knightrider” Loffredo

e Enzo “Black75” Cutroneo

Tracklist:
01.Thorr
02.Theseus
03.Fenrir
04.Montezuma
05.Merlin
06.The Goddes
07.Charon
08.Gilgamesh
09.Ocasta
10.Angel Witch

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