Recensione: Nadirs [EP]

Di Elisa Tonini - 27 Marzo 2017 - 0:00
Nadirs [EP]
Band: Drenaï
Etichetta:
Genere: Folk - Viking 
Anno: 2016
Nazione:
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70

I Drenaï sono una band folk metal fondata a Rouen (Normandia) nel 2011. Nel 2013 pubblicano il loro primo EP intitolato “A Rising Thunder” mentre il loro primo album, intitolato “Deathwalker”, esce nel 2014. Con questi due lavori i Drenaï si fanno notare per il loro folk metal vivace, ricco di orchestrazioni, potente ma anche riflessivo, accostabile in un certo senso ai Wintersun, Turisas ed Equilibrium. Nella base delle canzoni dei Drenaï è tuttavia sempre ben presente il loro backround celtico. La band prende il nome dalla serie di libri bestseller heroic-fantasy dello scrittore inglese David Gemmel. Tutti i lavori della band sono influenzati liricamente e musicalmente dalle opere dell’appena citato scrittore. L’EP oggetto di questa recensione, “Nadirs”, non fa eccezione.
 
“Nadirs” propone un qualcosa di totalmente diverso dal passato della band, cioè un racconto epico in chiave 100% folk music, nessuna componente elettrica. La storia raccontata nell’EP può essere letta o ascoltata indipendentemente dalle loro produzioni precedenti. “Nadirs” è una sorta di saga musicale concepita come un poema sinfonico in cui in ogni traccia viene narrata la gioventù e l’ascensione del potente Nosta Khan, sciamano della tribù Wolfhead e boss dell’unità Nadir. La musica ed i testi sono in simbiosi, in cui l’ascoltatore vi si può immergere partendo da ‘Broken Nation’. Il primo brano dell’EP, è un susseguirsi complesso e vario di ritmi ed in cui a volte interviene il parlato/recitato della voce maschile. Ad una base celtica, base comune in tutte le tracce dell’EP, sono integrate avventurose percussioni arabe, un’atmosfera orientale. Vi è un profondo e mistico throath singing che pare provenire dalle steppe dell’Asia Centrale, vi sono delicati e sognanti cori che poi si vivacizzano e fondono a passaggi che paiono evocare la Spagna con un appassionato flamenco. Tutto l’EP è un tripudio di culture diverse sapientemente fuse assieme, oppure intervallate. La successiva ‘Shaman’, il brano più lungo del disco, include gentili atmosfere native americane, raffinate sonorità vichinghe e potenti ritmi mediorientali e preispanici. I cori a tratti paiono evocare quelli delle popolazioni dell’Africa subsahariana. Vi sono pure qui ritmi derivati dal flamenco. Ciò che particolarizza ‘Shaman’ è, però, l’essere percorso per una parte consistente da quello che pare riprodurre un rito sciamanico, in cui vi è un uso predominante del throath singing, delle percussioni, e dal grave suono di uno strumento a fiato (probabilmente sulla tipologia del corno tibetano). Il parlato/recitato maschile accompagna costantemente questo rito oltre a intervenire altre volte lungo la canzone. In ‘Forged in Clay’ la presenza del parlato/recitato è minore rispetto alle altre tracce dell’EP. In questo brano la base celtica si unisce ad atmosfere gotiche, sperimentali come a spirituali e arcani sono i passaggi che paiono evocare i nativi americani, per poi passare ai vichinghi. In Forged In Clay vi è altresì un’aria tribale, cori dall’aria europea, a tratti lirici che donano alla traccia un’aria un po’ minacciosa e spettrale. L’atmosfera minacciosa viene stemperata poi dal sopraggiungere di atmosfere bucoliche che paiono evocare l’Est Europa ed i cori ebraici. L’enigmatico flauto dall’aria egizia dona leggiadre tinte calde mentre i cori gregoriani si uniscono a percussioni potenti, marziali ed a melodie gitane e medievali. In Beyond The Gates il parlato/recitato torna a fare da padrone. È un brano dall’aria sacra, la cui base celtica pare unirsi nella prima “parte” al mondo vikingo. La seconda “parte” della canzone muta in un’atmosfera egizia grazie al flauto e l’uso di arrangiamenti classici e cori à la “Carmina Burana – In Taberna” dona un’aria medievale. Le percussioni e i ritmi paiono poi evocare i primordiali ritmi tribali africani, come suggestioni preispaniche e, contemporaneamente, il ritmo selvaggio e galloppante delle tribù nomadi d’Asia Centrale. Nella conclusiva Tools of a Prophet la base celtica si unisce prevalentemente ad argentati arpeggi e ritmi spagnoleggianti, al flamenco. Il mistico thraoth singing si unisce al limpido flauto dall’aria nativa americana mentre i cori paiono evocare antiche e sperdute tribù africane. I cori femminili sono a tratti quasi lirici e vi sono altresì maestosi cori vichinghi. Strutturalmente il brano ha inoltre raffinati innesti derivati dalla musica classica e dal vivace flamenco. Tutto il brano è accompagnato dal profondo parlato/recitato.
 
Se il primo album “Deathwalker” consisteva in un folk-metal dall’entuasiasmo contagioso, una buona potenza ed aggressività, con “Nadirs” i Drenaï  hanno cambiato totalmente le carte in tavola. Per creare l’EP “Nadirs” con tutte le sue sottilissime ed assai complesse sfumature i Drenaï hanno deciso di coinvolgere diversi ospiti. In “Nadirs” sono stati usati una grande quantità di strumenti tradizionali, nonchè moltissimi riferimenti al folk da tutto il mondo. Tutti questi elementi hanno permesso i Drenaï di andare oltre la loro base celtica, senza però mai abbandonarla.
 
I Drenaï con “Nadirs” paiono accostarsi stilisticamente ai norvegesi Wardruna (anche per via dell’artwork, simile a quelli della band scandinava), naturalmente però con un background culturale ed approccio diverso verso il folk. Se i Wardruna evocano le fredde terre del Nord Europa ed i vichinghi i Drenaï con “Nadirs” vi è come detto in precedenza un tripudio di culture. Il sound di “Nadirs” è estremamente ricco, vario nei ritmi e, nonostante l’assenza della componente elettrica l’EP risulta a suo modo potente nel sound. La scelta del cantato/recitato a volte rischia di frammentare/distogliere l’attenzione dal resto  del contesto musicale, altrimenti “Nadirs” è un album che nel suo genere funziona.
Consigliati ai fan del gruppo, agli amanti del pagan, folk ed a chi apprezza le sonorità acustiche.
 
Elisa “SoulMysteries” Tonini

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70