Recensione: Namakubi

Di Daniele Ruggiero - 7 Giugno 2017 - 7:00
Namakubi
Band: Sarugutuwa
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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72

“Namakubi” è una scossa devastante generata dalla rabbia di uno dei tanti vulcani attivi del Giappone. Il primo album del quartetto di Tokyo è una letale mazzata sui denti che toglie il respiro. I Sarugutuwa ci introducono in un clima surreale ed apocalittico in cui è il male ad orchestrare gli equilibri di un mondo in rovina.

Il full-lenght dei Nostri è un mix nauseabondo di adrenalina e violenza sintetizzato in ritmi insani e dinamici. L’odore maligno che fuoriesce dai tombini dell’orribile metropoli di “Namakubi” è un’esalazione velenosa dagli effetti assuefacenti che proietta, in appena trentacinque minuti, terrificanti visioni distorte causate da un avariato brutal death.

I primi tre minuti di grugniti ed atmosfere horror lasciano la vittima in uno stato di sconcerto nel quale l’immaginazione prende il sopravvento sulla realtà. L’intro del disco è dunque l’unico atto di calma apparente che troverete durante i dodici capitoli dell’opera giapponese. Oltre al classico sound tipicamente brutal dai toni corrosivi, a colpire è il suono della batteria così crudo e vivo come la carne di una ferita aperta che non smette di pulsare. La furia femminile di Yuka, dietro le pelli, è supportata dai deliranti giri di basso che imboccano strade virtuose come quella di ‘Shindai’.

Le chitarre, roventi e massicce, riesumano i corpi marci di band che hanno contribuito alla formazione dei Sarugutuwa: dai primordiali Cannibal Corpse, Cryptopsy e Sepultura ai più recenti Guttural Secrete.

Ma di sbalorditivo non c’è solo la sezione strumentale, che incanta nell’esaltante ‘Chikoutetsu’, a lasciare a bocca aperta ci sono anche i vocalizzi selvaggi e bestiali della seconda figura femminile della band: Maira. Le modulazioni raccapriccianti della cantante nipponica si riversano sulle strade di una città fuori controllo invasa da orride creature il cui scopo è divorare carne umana.

“Namakubi” è dunque paragonabile ad una fuga continua, ad una corsa disperata verso la salvezza che viene costantemente frenata da un panico intenso. Il temporale finale è la cornice della resa, il rumore di una sconfitta dinanzi ad un incubo che i Sarugutuwa hanno saputo allestire con tecnica e buona ispirazione.

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