Recensione: Near Life Experience

Di Paolo Rossi - 5 Settembre 2004 - 0:00
Near Life Experience
Band: Mayadome
Etichetta:
Genere:
Anno: 1999
Nazione:
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90

Incredibile ma vero, tra le pagine di questo molto onorevole portale non era mai stato recensito uno dei dischi più belli della storia del prog-metal europeo, e forse della musica in generale.

Esce nel 1999 Near Life Experience, secondo album per gli svedesi Mayadome a seguito del più celebrato (ma inferiore) Paranormal Activity.
Cambiato il cantante e sostituito con il versatilissimo Bassel Elharbiti, i Mayadome si ripropongono con un lavoro di prog metal dai colori tipicamente scandinavi: variegato all’eccesso, scuro, introspettivo, fortemente tecnico, melodico, squisitamente “ragionato”.

La composizione é semplicemente geniale: di ogni brano se ne potrebbero ricavare 6 o 7, tanti e belli sono i cambi di situazione che rendono la struttura dei brani ricca (anche fin troppo), elaborata ma di grande fluidità al tempo stesso. Si passa dal veloce al mid-tempo al lento con una facilità disarmante; eppure i brani presentano una vera e propria evoluzione armonica nello svolgimento, non c’é la rottura “collagistica” tipica dei dinosauri britannici del neo prog della metà degli anni ’90.
Gli elementi sono i migliori: heavy, prog, fusion (quasi jazz in alcuni periodi), musica classica. Il tutto condito con la pesantezza tipica del thrash di quelle latitudini.
Le armonie sono studiatissime, sempre disegnate sulla costruzione delle melodie vocali, il concetto di “song” é predominante e mai perso di vista, nonostante gli innumerevoli periodi “diversivi”.
Difatti, le melodie vocali sono sempre orecchiabili, trascinanti e consequenziali, non c’é un passaggio lasciato al caso. Anche la fase “risolutiva” del cosiddetto ritornello chiude sempre con classe e scostandosi dal prevedibile accordone in minore, evidenziando grande maturità artistica e compositiva (anche se non sempre commerciale).
Il tutto é arricchito da numerosi parti segnatamente atmosferiche, di ambientazione, e le stesse vengono a volte interpretate in versioni differenti all’interno dello stesso brano e con arrangiamenti sempre differenti.
Una costante dell’album sono le aperture armoniche, sempre pregevoli e segnale di grande preparazione teorica: a volte sui cantati, a volte sui soli, arrivano come il sole in mezzo alla tempesta (e spesso con il solo dimezzamento del tempo di batteria).
I brani sono composti su diverse velocità (bpm = metronomo), il che rende l’album sempre stimolante all’orecchio dell’ascoltatore e qui e là appaiono dei “reprise” che aiutano a ritrovare il bandolo di una matassa spesso intricata.

Gi arrangiamenti sono appropriati, ottima la parte strumentale ma gli insert di campionature ecc. avrebbero potuto esser utilizzati con maggiore proficuità (e senza l’eccessiva parsimonia che qui lamentiamo).
Le cosiddette “varianti” non si contano, ma non sono le stucchevoli esibizioni di presunta diversità del neo-prog, rientrano sempre in un’ottica di abbellimento di un lavoro già bello di per sé.

L’esecuzione dei musicisti é ottima, soprattutto il vocalist Bassel Elharbiti (a grandi linee riconducibile ad Anders Engber dei Lion’s Share ed ex Twilight) dà ai brani quello spessore interpretativo che conferisce profondità e solidità. Il “ragazzo” giustamente non fa acuti alla Kiske, né vibrati alla Adams; il suo timbro é della famiglia di D. Coverdale, J. Lande, Z. Stevens, ecc. Grande espressione, grande controllo, ottima intonazione (soprattutto sui passaggi di semitoni), interpretazione da vendere, voce roca, voce pulita, voce “soffiata”, bello il timing, pregevole l’estensione verso i registri più bassi. Ineccepibile anche la pronuncia. Disinvolta l’esecuzione in generale anche nelle divagazioni di “fantasia”.
La sezione ritmica é solida, allineatissima e articolata, il basso ha sempre il proprio spazio e la batteria, suonata dal “pazzo furioso” Teddy Möller, é di enorme spessore spessore tecnico (Möller é uno dei pochi capaci di far suonare le ghost senza che disturbino – vedi Hoglan, Portnoy, Confessori e compagnia bella).
Aggressiva e sempre un filo “in anticipo” conferisce al sound quella vivacità e realtà che troppo spesso mancano nelle esecuzioni contemporanee (in quanto prevalentemente “triggerate”).
Le chitarre sono eccellenti: le ritmiche belle pesanti, fantasiose e precise, le soliste raffinate ma incisive (non cedono mai alla tentazione di strafare). Variegata anche la gamma di suoni e sonorità, tutti di buon gusto. Bella la scelta di accordi, risvolti, ecc. Orecchiabile e cattivo il riffing.
Nota di merito particolare per le tastiere: sempre diverse, sempre appropriate, sempre “in faccia” ma mai troppo; soli da applauso. Si passa dal piano al synth anni ’70 come niente. E che “tappeti” di archi, lush e suoni sintetizzati!

La produzione é molto buona, anche il mix, forse ottimi ma non eccellenti. Ok, tutto suona benissimo dove e quando si vuole ma manca forse quel pizzico di sgamatezza (o di tempo in più = budget = $) che avrebbe fatto la differenza anche in quel settore (riverberi, delay, ambiente, sampling, ecc.). In particolar modo la batteria avrebbe potuto essere valorizzata ulteriormente data la densità di classe e tecnica che la stessa presenta.

I testi sono intriganti: sempre positivi ma critici della realtà inducono alla riflessione su particolari argomenti. Il metafisico o il trascendentale sono indotti dalla riflessione più che dall’esposizione. Tuttavia mettono in luce la tendenza “miglioristica” vissuta dalla band in quel periodo.

La grafica é abbastanza “scrausa”, a parte l’immagine di copertina che ha il suo bel perché, il resto é alquanto low budget, forse un dictat della casa discografica.
E qui viene la nota dolente: mentre il primo platter dei Mayadome esce su Roadrunner (che intelligentemente se li sono lasciati scappare – ovvio, loro firmano gli Slipknot), Near Life Experience é pubblicato dalla label americana Siegen Records che si rivela quantomai deficitaria (per non dire altro) nella gestione di questo bellissimo prodotto.
E’ infatti improbabile che possiate trovare questa gemma nel vostro abituale negozio di dischi, ma anche i canali d’importazione più esperti faticano a reperirlo.
La sola speranza é che prima o poi qualche label europea riesca a metterci gli artigli sopra e ripubblicarlo magari con dei bonus.

In conclusione possiamo riscoprire Near Life Experience come un lavoro eccellente, sicuramente uno dei migliori degli ultimi 10-15 anni nel suo settore.
Ovvio che sia nato dalla prolificità della scia marcata da Dream Theater, Rush, Fates Warning, e altri, e senza di essi forse non sarebbe esistito; ma é anche vero che se un album del genere l’avessero fatto i Dream Theater o i Fates Warning avrebbe avuto ben altra eco nel contesto mondiale.
Purtroppo, come spesso accade, vere e proprie gemme rimangono adombrate a causa di molteplici fattori, soprattutto esterni all’opera stessa.
Di contro, gruppi mediocri che avrebbero solo da imparare da dischi come questo assurgono agli onori della scena senza avere un decimo del talento espresso in uno solo dei brani contenuti in questo stupendo platter.
Così é il business.

Track list:
1. Restorepair (7:21)
2. Scent Of Lilac (5:18)
3. Praise Me For I Have Sinned (6:31)
4. Able To Feel (8:50)
5. Pride Painted Grey (6:22)
6. Angina Closing In (6:44)
7. Near Life Experience (8:17)
Total Time: 49:09

Line-up
– Bassel Elharbiti: lead vocals
– Fredrik Kjorling: lead guitar
– Erik Grandin: bass
– Teddy Moller: drums & vocals
– Sebastian Okupski: keyboards

Discografia:
– Paranormal Activity (1996)
– Near Life Experience (1999)

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